Helplessness Blues è il secondo disco dei Fleet Foxes – se si escludono due Ep del 2006 e 2008 – ed era molto atteso a causa del grande successo del precedente omonimo, quello con in copertina il dipinto di Pieter Bruegel, disco d’oro in Gran Bretagna e disco dell’anno per Billboard e Pitchfork.
Le dodici canzoni qui contenute proseguono senza strappi il percorso intrapreso dal quartetto dell’Arkansas, semmai – dopo i successi – con maggiore consapevolezza nei propri mezzi e in ciò che si vuole, e dunque anche questi “blues dell’impotenza” regalano armonie vocali a più voci, folk acustico eseguito con la formazione del sestetto – in cui da qualche mese c’è Morgan Henderson, ex bassista dei Blood Brothers – suggestioni anni 60/70 da America profonda, marginale e rurale, e in generale un incanto bucolico piuttosto fuori dal tempo, specialmente nell’era delle grandi metropoli, della velocità e del capitalismo finanziario, che pur rifacendosi musicalmente ed esteticamente, senza di fatto alcuna innovazione, a Crosby, Stills & Nash, Journeymen, Halifax Three, ma anche a Byrds e Beach Boys dei tardi 60, riesce a cogliere aspetti persino spirituali della cultura nordamericana ad ogni modo innegabili e anzi da sempre presenti in certa musica freak.
“Helplessness Blues” è un disco rivolto ad un pubblico potenzialmente molto vasto, e dunque è un disco pop, malgrado non ci sia elettricità, ritmo, ed i singoli episodi – tutti mediamente molto belli, con un paio di capolavori: la conclusiva ‘Grown Ocean’ e l’accoppiata ‘The Shrine / An Argument” – vanno bene più per accompagnare immagini su uno schermo, che per essere canticchiate da uno stonato qualunque.
Il leader del gruppov Robin Pecknold (voce e chitarra) ha lungamente rimaneggiato le canzoni fino a dargli la forma attuale, e si sente che in Helplessness Blues non c’è una virgola lasciata al caso, e malgrado in qualche raro momento si sfiori il formalismo retrò bisogna dire che c’è in effetti del coraggio nello scavare in questo specifico aspetto del passato, decisamente lontano dai riflettori in questo nuovo millennio, malgrado i Fleet Foxes non sono certo soli: Midlake e Grizzly Bear soprattutto seguono un analogo percorso, anche per quanto riguarda la struentazione acustica e l’arioso canto armonico a più voci.
Oltre a Pecknold e a Henderson, ricordiamo che nei Fleet Foxes agiscono il cofondatore Skyler Skjelset (chitarra, voce e mandolino), Christian Wargo (basso, voce), Casey Wescott (tastiera, voce) e Joshua Tillman (batteria, voce).
Autore: Fausto Turi