E’ uscito in questi giorni “Pianissimo fortissimo”, il nuovo disco dei Perturbazione, il primo a uscire per una major, la Capitol/EMI. Registrato con l’aiuto di Maurice Andiloro al banco di regia, arricchito dal lavoro (come arrangiatore di archi) di Davide Rossi (collaboratore di Goldfrapp, Coldplay e Siouxsie & The Banshees!) e da ospiti come Manuel Agnelli degli Afterhours, è un lavoro di straordinaria bellezza. Un disco di canzoni, fondamentalmente. Di canzoni una più bella dell’altra, ognuna della quali brilla di luce propria.
Parliamo del nuovo capitolo della lunga storia del gruppo piemontese con il bassista Stefano Milano.
Questa sicuramente è una domanda che vi faranno (o che vi hanno già fatto) in molti: cosa significa per i Perturbazione uscire con una major?
Diciamo che non abbiamo avuto ancora modo di renderci conto delle differenze rispetto a questo passaggio ad una major… A livello di lavoro rispetto al disco, ad esempio, non è cambiato molto. Abbiamo avuto carta bianca e c’è stato quasi un paradosso: abbiamo deciso di registrare il disco nello studio di Cristiano, quello dove proviamo, suoniamo…quindi è stato praticamente quasi un disco “fatto in casa”.
Aver firmato per una major non ha significato quindi pretendere di andare a registrare a New York o Londra. Ci teniamo molto alle nostre cose, e con questo disco eravamo intenzionati a ritornare un po’ all’”essenziale”, da molti punti di vista.
Avevo letto che avevate deciso di registrare il disco nel vostro studio, mi chiedevo comunque se vi aspettaste qualche novità in particolare, a partire da questo momento…
In realtà, secondo me è sbagliato pensare che se approdi ad un’etichetta che hai i “muscoli più sviluppati”, più grossa, debba arrivarti di più: sta sempre al tuo lavoro!
Ad oggi non abbiamo avuto ancora modo di testare la differenza…noi continuiamo a ragionare come ragionavamo prima, ai tempi di “In circolo”, quando eravamo per un’indipendente, o ancora prima.
Questo sicuramente da un lato è un limite, ma d’altro canto è anche un pregio: come sai bene siamo una piccola “factory”, sei persone che hanno molto controllo sulle cose che fanno, e così ci piace che sia. Certo, ci si rapporta con strutture molto grosse, ma sempre cercando di avere il controllo delle cose che si fanno… e farle sempre a misura “tua”: questo è un aspetto in cui crediamo molto. Se riesci a mantenere il controllo, poi è molto difficile essere fagocitati dal “sistema”, o – molto più semplicemente – snaturarti.
La politica dei piccoli passi è una cosa che con noi ha sempre funzionato, dall’inizio fino ad adesso. Quindi continuiamo con i piccoli passi: Mescal era un’etichetta distribuita major, ora siamo passati ad una major, ma non è stata una cosa clamorosa, per noi, e nemmeno l’abbiamo vissuta come tale. Fa parte di un percorso naturale di crescita, come da quando incidevamo i dischi per la “On/Off” di John Vignola, per poi passare a Santeria, poi Mescal e adesso EMI.
Vi siete preparati psicologicamente a tutte le polemiche che nasceranno tra le pseudo-comunità di intransigenti dell’indipendenza a tutti i costi?
Siamo consapevolissimi di questo, ma alla fine ciò che parla sono i dischi. Quando ascolti il nostro disco ti accorgi che è veramente registrato nel nostro studio, c’è una ricerca di ritorno all’essenzialità nei testi, abbiamo cercato il più possibile di lavorare sulle singole canzoni: volevamo fare un disco un po’ più breve, ed un po’ più eterogeneo di quello che è stato “Canzoni allo specchio”. Abbiamo selezionato tra tutte le canzoni quelle che ci piacevano di più, e ci siamo detti: “lasciamo che parli questo”.
E se vi chiamano a Buona Domenica a cantare in playback?
(risate) Guarda, Tommaso c’ha sempre detto “ragazzi, va bene tutto, ma il playback no”. Per fortuna non abbiamo avuto ancora questo problema, e credo che comunque il playback lo eviteremmo comunque. Anche perché sai bene che per noi l’aspetto “live” è molto importante. Poi è anche vero che siamo dei cazzoni, quindi anche solo l’idea di cantare in playback ci diverte…sarebbe sfiziosa, in fondo, come cosa.
Quando uscì “In circolo” ero stra-convinto che almeno un paio di pezzi del disco li avrei visti benissimo a Sanremo. Quando ho sentito “Se mi scrivi” (da “Canzoni allo specchio”, ndi) ho pensato la stessa cosa. Ora leggo che “Battiti per minuto” avevate provato a presentarla al Festival…
Noi nei confronti di Sanremo non abbiamo mai avuto nessun pregiudizio di sorta. Nel senso: negli ambienti “oltranzisti” e fondamentalisti della musica indipendente viene visto come “il diavolo”. Ma in realtà continua ad essere il diavolo fino a quando invece di trovarti Mariella Nava e Al Bano non ci trovi magari gli Afterhours e i Perturbazione. Essendo il festival della canzone italiana, ed essendo noi un gruppo che scrive canzoni, è da anni che proviamo ad andarci. Già quand’eravamo con Santeria avevamo fatto un tentativo, l’abbiamo rifatto per “Canzoni allo specchio”, e anche quest’anno ci abbiamo riprovato e – a quanto ci dicono – ci siamo andati molto vicino, però non è stato. Noi comunque continuiamo per la nostra strada, tanto abbiamo una vita nostra a prescindere da Sanremo.
E che ci dici riguardo al film di cui sarebbe dovuta diventare colonna sonora (mi riferisco sempre a “Battiti per minuto”, ndi)?
Questa è una storia un po’ bizzarra…in verità ormai siamo convinti che questo pezzo porti una sfiga pazzesca.
Uscirà a breve un film che si chiama “Cardiofitness”, di un regista di Torino, tratto da un romanzo di Alessandra Montrucchio. Un film molto “pop”, una commedia all’italiana divertente ma non stupida. Abbiamo scoperto che il regista è un nostro grande fan, e l’abbiamo incontrato casualmente tramite un amico comune. Ci disse “sto preparando questo film e sarei onorato di avervi nella colonna sonora”. Noi, che da sempre non disdegniamo l’idea di scrivere musica per il cinema, abbiamo scritto questo pezzo. Poi, per ragioni che non ti sto a spiegare, complessissime, problemi di rapporti tra case di produzione etc..etc…, questa cosa non è andata in porto.
In ogni caso quel pezzo ci piaceva – di fatto è stato proprio il primo che è stato scritto (l’estate scorsa), visto che c’era quest’urgenza del film – e quindi, avendolo già pronto, quando in autunno dovevamo presentare un pezzo per Sanremo, abbiamo presentato quello. Poi pare che siamo stati i primi esclusi, quindi ci siamo convinti che portasse davvero sfiga.
Come se non bastasse, quando siamo andati a riprendere il pezzo per farne un nuovo missaggio per il disco, riaprendo la sessione di registrazione ci siamo accorti che misteriosamente non c’era più la tromba! Era scomparsa la traccia della tromba!
Riallacciandomi a quello che dicevamo prima, in effetti mi sono reso conto che il nuovo lavoro è più eterogeneo dei precedenti. In particolare ci sono probabilmente ancora più che in passato, dei cambi d’atmosfera piuttosto radicali (“Nel mio scrigno” / “Casa mia”), e del resto questo lo si poteva intuire già dal titolo del disco… Mi chiedevo se questo dipendesse dal fatto che le canzoni fossero state scritte in periodi differenti, o perché magari i pezzi nascono da idee dei diversi componenti della band.
Un po’ entrambe le cose. Da un lato sicuramente era nostra intenzione fare un disco più eterogeneo, quindi con canzoni dalle sfumature un po’ più ampie… un po’ più vicino a “In circolo”, per intenderci. Inoltre per questo disco ci siamo trovati – a livello produttivo – in una situazione un po’ particolare. Prima noi facevamo uscire i dischi, poi c’era un tour – lungo o breve che fosse – e infine tiravamo una “linea”, fermavamo tutto, e ci si metteva a lavorare al disco nuovo. In questo caso invece abbiamo avuto un lungo periodo, tra dicembre 2004 e l’estate 2005, in cui abbiamo avuto sei mesi di pausa (avevamo bisogno di prendercela!), e poi abbiamo deciso di metterci a lavorare alle canzoni nuove, a partorire delle idee.
Siamo arrivati ad avere nell’hard disk dello studio qualcosa come tre ore e mezza / quattro ore di musica, un sacco di spunti musicali, un bel po’ di testi etc…
Ci siamo trovati con una grande quantità di materiale, ma anche con la forte volontà di lavorare ad un disco con al massimo dieci canzoni, che fosse molto circoscritto ma anche molto eterogeneo. Quindi il problema era arrivare a setacciare, per arrivare da tanto materiale a quello che avevamo in testa.
E’ evidente che per arrivare a selezionare le dieci canzoni che più ci piacevano, c’è stato bisogno di un bel po’ di dialettica, “scazzottate”, ma anche un bel po’ di punti fermi che ci trovavano tutti d’accordo. Noi tra l’altro siamo un gruppo costituito da sei teste, tra l’altro sei teste dure.
Con gli anni, poi, le personalità sono meno disposte al cambiamento… quindi abbiamo deciso da un lato di mettere assieme le cose che ci piacevano di più e dall’altro anche un po’ lasciare che ogni pezzo avesse dei colori, degli arrangiamenti che ognuno di noi magari sentiva propri.
Dal punto di vista strettamente musicale, quali sono secondo te le differenze sostanziali rispetto al passato?
Una, che è abbastanza evidente in tutte le canzoni, è quella del tentativo di cercare l’essenzialità, il suono in presa diretta, molto immediato. C’è da dire che il fatto che noi abbiamo molta vita dal vivo, ci viene naturale lavorare in quella maniera lì.
D’altra parte, dove possibile, abbiamo cercato degli arrangiamenti più orchestrali. “Casa mia” ne è un esempio, ma anche la parte “bandistica” di “Giugno, dov’eri”.
Quindi ricercare l’essenzialità, ma anche cercare delle soluzioni orchestrali, certe armonizzazioni, certi colori, o anche certi strumenti che “servissero” alle canzoni. Ti faccio un esempio: nel pezzo “Leggere parole”, una canzone molto soul, che a me personalmente piace moltissimo, io avevo quest’idea in testa di metterci le congas, che però nessuno di noi sapeva suonare. Quando Maurice Andiloro ha sentito il pezzo e ha detto “qui ci vorrebbero delle congas!”, io ovviamente mi sono inchinato e ho detto “Maurice, fantastico, abbiamo la stessa idea!”, e abbiamo chiamato uno che suona le congas, che da’ quel colore molto soul che funziona alla canzone.
Dopo tanti anni di vita vissuta assieme, dopo tanti chilometri e tanti concerti, in cosa trovate ancora l’entusiasmo per andare avanti?
L’entusiasmo viene dal fatto che sei teste dure come noi, dopo tanti anni sono ancora lì: a differenza di tanti altri gruppi che magari cambiano bassista, cambiano chitarrista o batterista e magari restano in due della formazione originaria, noi siamo sempre noi. Paradossalmente proprio il fatto di essere “sei teste dure che sono ancora lì”, rappresenta parte dell’entusiasmo, della sfida, del confrontarsi e trovare sempre una visione comune, un sentire comune, anche se questo col passare del tempo si fa’ ovviamente più difficile.
Poi dopo tanti anni ti guardi indietro e ti rendi conto anche che tutto ciò è diventato una parte importantissima della tua vita. Gli anni migliori della vita l’hai dedicati (anche) a questo progetto, a questo gruppo, ad un voler credere che in Italia si possano scrivere belle canzoni che tante persone poi possono apprezzarle.
Quando scrivi una canzone mettendo giù – musicalmente e nel testo – in qualche modo il tuo modo di “sentire”, se un’altra persona quella canzone la sente, facendo propria la nostra sensibilità, è il risultato più grande che si può ottenere.
Vi ho visto più di una volta dal vivo ma non ho avuto l’onore di assistere ad uno dei vostri “Concerti per disegnatore e orchestra” o al progetto “Le città viste dal basso”. Mi spieghi in cosa consistono?
Sono due progetti paralleli che ci siamo inventati e che ogni talvolta che ci viene chiesto di replicarli ci danno molto entusiasmo. Anche perché, facendo tanti concerti, portare avanti anche progetti diversi è divertente proprio perché “cambi musica”, in qualche maniera.
Il progetto per disegnatore ed orchestra è il più vecchio dei due, ed è nato quasi per caso: qui a Torino c’è un locale che aveva chiesto ad una serie di gruppi di sonorizzare dei lungometraggi o cortometraggi. Noi che siamo sempre delle teste di cavolo, ci siamo detti: “no, non facciamo la solita cosa in cui sonorizziamo un film muto, inventiamoci qualcosa!”. Avendo Tommaso che è disegnatore, animatore etc., gli abbiamo detto: “Tommi, perché non disegni una storia abbozzata, che viene proiettata su uno schermo e noi nel frattempo suoniamo dal vivo, improvvisando?”.
E questa è l’idea di base. Un’idea che di per sé è banale, semplice, essenziale, che però dal vivo funziona molto bene, ed è molto divertente.
Buona parte dello spettacolo sta sulle spalle di Tommi. E’ uno spettacolo molto naive, che ci piace molto.
“Città viste dal basso” invece è tutt’altra cosa. E’ uno spettacolo che c’è stato proposto di fare a Modena, per una manifestazione letteraria, in un teatro. E’ uno spettacolo incentrato sul tema delle città. Città italiane, principalmente. Tra musica e letteratura. Ci siamo inventati questo spettacolo in cui noi siamo una sorta di band “residente”, in cui suoniamo canzoni di Lucio Dalla, di De Gregori, o di Paolo Conte, e poi per ogni spettacolo chiamiamo degli ospiti diversi, cantanti o attori…persone che ci stimolano e con cui si può inventare qualcosa.
Quindi alle canzoni suonate da noi e alle letture di qualche amico attore (Remo Remoti, ad esempio) si aggiungono degli ospiti musicali con cui si decide di cantare, ad esempio, una canzone degli Afterhours che parla di Milano, o magari – insieme a Meg – una canzone che parla di Napoli. E’ uno spettacolo basato principalmente sulla parola, sul racconto delle città. “Viste dal basso”, nel senso di città vissute, reali, viste dalla gente che ci vive dentro.
Ritornando al disco nuovo. Nonostante, come abbiamo detto, c’è stata da parte vostra una ricerca dell’essenzialità, io ho avuto l’impressione che “Pianissimo Fortissimo” sia un disco da ascoltare più e più volte prima di poterci davvero “entrare dentro”. Questo almeno è quello che è capitato a me…magari tu pensi che sia invece il disco più “immediato” che abbiate mai fatto!
E’ difficile rispondere. Diciamo che dischi proprio “immediati” non ne abbiamo mai fatti. Anche “In circolo”, che aveva delle canzoni assolutamente immediate, ha poi dei “buchi neri” più psichedelici. In questo caso invece abbiamo cercato di avere dieci episodi che fossero essenzialmente delle “canzoni”, quindi anche ascoltabili singolarmente.
Poi ovviamente ci sono pezzi come “Battiti per minuto” che già dal primo ascolto ti fa’ battere il piedino, ed è più approcciabile in maniera semplice, e ce ne sono altri, come ad esempio “Brautigan”, dove Davide Rossi ha sviluppato quest’arrangiamento d’archi pazzesco, che ovviamente è un pezzo che ti toglie di più il fiato, più pesante, più ricco, più denso, e che magari ha bisogno un po’ di più ascolti. Però alla fine noi cerchiamo sempre di fare degli arrangiamenti funzionali alle canzoni. Per cui dipende dagli episodi…
Nonostante i testi in italiano, la vostra musica ha sempre avuti riferimenti al rock inglese e americano. Avete mai pensato di riprovare con i testi in inglese per fare un tentativo di “esportazione” simile a quello che hanno fatto gli Afterhours?
Sul tradurre i testi è una questione su cui fino a questo momento abbiamo ragionato poco, perché non c’è stata occasione concreta di farlo, ma tendenzialmente siamo consapevoli che è molto difficile. Noi stiamo lavorando molto sulla lingua italiana per riuscire a dire certe cose in una certa maniera, e quindi non è così immediato il passaggio ad un’altra lingua, con un’altra musicalità.
Un altro discorso è invece quello di andare a suonare all’estero e provare a portare la musica – anche cantata in Italiano – dove ci sono di base anche delle comunità italiane. Abbiamo già fatto un piccolo esperimento in questo senso a fine settembre, andando a suonare in Germania e Lussemburgo, e siamo tornati entusiasti di questi tre concerti che abbiamo fatto. E’ un esperienza che ci piacerebbe molto ripetere. Perché ti rendi conto che se anche c’è magari un gap comunicativo rispetto ai testi, è bello confrontarsi con un pubblico che non ti conosce, e che magari non capisce quello che stai dicendo. E’ bello magari provare a dire certe cose attraverso la musica, o attraverso il racconto delle canzoni – in inglese – prima che queste vengano eseguite.Autore: Daniele Lama
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