Arrivati alla soglia del fantomatico terzo disco, i White Rabbits si sono posti il problema di cosa fare da grandi. Sino ad ora, una buona esposizione, gliela aveva offerta il casuale incontro con gli Spoon, il cui cantante/chitarrista Britt Daniel aveva prodotto il loro precedente full-lenght ,“It’s Frightening”.
Onde evitare spiacevoli sovrapposizioni artistiche, la band statunitense, in questo suo nuovo capitolo discografico, ha cercato di trovare una propria e specifica identità artistica. Al netto delle pregevoli intenzioni, però, qualcosa ancora non quadra. La loro formazione allargata, che consta di ben due batterie, ama divagare su più fronti. Un tocco di p-funk (”Heavy Metal”, “Temporary”), digressioni oniriche “alla Radiohead”, qualche inevitabile richiamo al post-punk, sono le direttive sonore, su cui si attesta il sestetto americano.
Una formula ben calibrata che, pure quando esce fuori contesto (vedi il caso della conclusiva ballata “I Had It Coming”), denota una ricercatezza formale assai spinta.
Qualcuno troverà questo un pregio, a me, invece, pare che manchi loro, tuttora, quel “quid” necessario affinché, sotto la patina di perfetti indie-rockers “a la page”, i White Rabbits si dimostrino pronti al definitivo salto di qualità.
Autore: LucaMauro Assante