Ce lo ricordiamo bene Skardy. Dal palco dell’Ariston col suo ex gruppo auspicò, reggheggiando, il vescovo Milingo al Vaticano (dopo Denny Mendez missitalia) e, ancora prima, con gli Elio e le Storie Tese primevi compariva da “cantante veneto con bagaglio” nell’indimenticata Uomini col Borsello (Ragazza che Limoni Sola). Erano gli anni novanta. Adesso, evaporati in una nuvola grassa i mitici Pitura Freska di cui Skardy era smisurato frontman, il nostro diventa solista: qualcosa a mezza strada tra il moloch orwelliano e la parodia essenziale del format Endemol. Appunto, il Grande Bidello (vedi – assolutamente – copertina del disco), che è poi, oltre al canto e al tè alle erbe, il suo reale mestiere. Va giù sempre in a rub-a-dub style come agli inizi: il noto, impunito, rastone erutta testi e rime nello stringato italiano del nordest e in libero scilinguagnolo veneto, bel marchio di fabbrica. In più è signorotto: si (fa) chiama(re) sir Oliver Skardy. Finito il doveroso cappello, veniamo alla musica (mi sa che è ora). Diciassette tracce, che nel booklet sono indicate di giallo, rosso e verde – colori del semaforo e dell’Exodus -, a seconda del grado di liriche esplicite.
I brani segnati col verde sono “per tutti”, quelle in giallo “da ascoltare con adulti”. Le rosse “sconsigliate ai bambini”. Queste ultime vanno a mischiare la consueta rastareprimenda contro chi ostacola la libera circolazione delle idee e delle canne, a fabliaux più bonariamente spinti: come in “Tettakiller”, declamata su un ruggente arrangiamento dancehall. “Lap dance” invece ripete “tutte bone que ‘e mone che fan lap dance”, su un breakbeat lavato con la candeggina e un campione di chitarra biscottata, messo lì a dare morsi sul culetto alle pin up adulate da Skardy.
Queste le rosse, poi le “gialle”. Seguendo le istruzioni del disco mi faccio accompagnare nell’ascolto da mia nonna, adulta di settantotto anni, e sento con piacere formicolante soprattutto “Bideo”, bidello, outing della figura di impiegato statale più amato dalle vicepresidi e “Super Skank”, istoriata da ritmi reggaeroots italiano, menefreghista puro delle tendenze, modello Bomba Bomba.
Le canzoni “verdi” sono invece state tagliate con qualche sostanza che le ha mandate in aceto. In “Stella” addirittura una perniciosa forma di r’n’b contagia il corpulento lord. “Bluff” par invece un duetto sanremese escluso il primo giorno di gara. Outro affidato alle piacevoli percussioni ondulate di Leonardo Di Angilla (“Competition generation”).
Si può dire che senza lo schietto aplomb del suo demiurgo-cantante, l’arrangiamento semifreddo che attraversa i 17 pezzi andrebbe archiviato sotto la voce muzak da crociera. Il reggae retrò di sir Oliver riesce infatti a svolgersi solo – inossidabilmente – in compagnia dello skardypensiero.
Che altro dire: il Grande Bidello, nel suo giudizio insindacabile, ha deciso che la prova settimanale è stata superata.
Autore: Sandro Chetta