Ok, il nome, se non fa proprio cagare, sa decisamente di mancanza di fantasia, sorta di riciclaggio di tutti i moniker con “black” in circolazione qual è. A meno che non sia una parodia dell’abuso che si è fatto di questo colore, la questione ci interessa in via marginale. Altro il nostro compito “istituzionale”: occuparci della band, del disco, del sound.
La band è un quartetto di Chicago 50/50 m/f: un modo telegrafico per dire che un certo “pop appeal” è quasi garantito. La cosa ha una certa funzionalità, ma lo vedremo a tempo debito, alla voce “sound”. Giovani carini e spregiudicati, o comunque al sicuro dall’epidemia, con quella line-up così, di dover implicitamente veicolare rassicuranti messaggi di pace e amore.
E con questo siamo già al “disco”: un esordio, fulmineo nella sua durata ma già adeguato showcase delle capacità creative degli autori, col quale questi stessi cercano di irrompere, in maniera ironica e smaliziata, nella cinica frenesia di questo nuovo decennio. E’ dalle nuove band che vedi se gli anni 2000 sono iniziati, non dal quarto disco dei capofila di 10 anni fa. E questo decennio – lo stiamo vedendo – si è già annunciato, con una certa prepotenza, come epoca di “riposo” da certa problematicità sociale-sociologica o comunque extra-musicale. E’ il tempo del disimpegno, forse l’unica risposta sensata, per non sentirsi del tutto impotenti, ai mugugni e dai malumori dei grandi poteri di questo mondo. E’ il tempo della new-new-wave, del disco-punk che sfacciatamente non teme di sembrare orecchiabile e divertente.
E siamo al “sound”, in ultimo. Qualche indizio lo abbiamo già lanciato, ma occorrono ulteriori precisazioni. Fermo restando il disimpegno, fermo restando il cinismo nel raccontare una storia andata a male come fosse un acquisto sbagliato, le componenti pop e punk-wave si sposano qui con modalità nuove e, reputo, anche discutibili. La vernice power-pop dei New Black sembra l’unica possibile, priva di radici/lezioni assimilate. Sembrano proprio così come suonano, insomma, laddove ciò che ti colpisce di molti nomi dance-punk è il fatto di non sembrare veri, quasi parodistici.
Ci sono, non ci fanno i New Black, e la cosa potrebbe pure andar bene nel momento in cui comincia un decennio e tu sei lì, al primo album, con tutto ancora da dire e un mare di direzioni tra cui poter scegliere senza vincoli quella da intraprendere. Potrebbero aprire un filone se ne avessero le doti. Potrebbero essere i Pixies 15 anni dopo, mutatis mutandis e alla faccia delle reunion. Ma, ascolto dopo ascolto, continuano a non convincermi. Stoffa e personalità sono quelle di un gruppo pop – in toto – che fa l’occhiolino a suoni un po’ più ostici per assumere quell’aria, come dire, “twisted”. Come modus operandi preferisco ancora quello che fa il percorso inverso.
Autore: Bob Villani