L’ultimo lavoro di Woody Allen chiude la trilogia di Londra (e del caos)
Cassandra’s Dream. Titolo in sintonia con l’amore iperfeticistico che l’autore ha sempre mostrato per la tragedia e, insieme, negazione di tutto un discorso sul caso-destino.
Da una parte il caso dall’altra il caos, il primo che permetteva la salvezza all’assassino in Match point, il secondo che oramai testimonia l’assenza del (dis)ordine tichistico in questo nuovo titolo, ultima tappa della trasferta londinese. Caso e caos insomma messi allo specchio seppure non speculari in quanto segni di due dimensioni anagrammate e quasi opposte, stavolta c’è soltanto il caos nell’accezione della sua radice indoeuropea comune che indica letteralmente “lo stare a bocca aperta” cioè l’essere esposti a tutto – in opposizione al niente cosmico del caso.
Allen ritorna sul luogo del delitto proprio come se il regista fosse l’omicida che non sa uccidere che in un solo modo (cioè alla sua maniera) e torna allo stesso film con un amore per la ripetizione degno dell’ultimo Ozu. Tre film fatti appositamente per le retrospettive dei festival a venire, si stagliano nello stesso terreno del cinema calcolato all’ennesima potenza ovvero già “scritto”e poi lasciato girare alla mano registica automatica del caso-autore. Match Point Scoop Cassandra’s dream, un itinerario crescente di autorialità messa a servizio di storie già conchiuse in sé stesse, pronte da tempo ad essere filmate (in molte interviste Allen confessa di avere script nel cassetto da anni che sono in svantaggio sul tempo dei film e mentre ne ultima uno già ha una sceneggiatura pronta per il seguente) non importa dove, se in Inghilterra o Usa perché tra l’altro questa immediata infatuazione per l’europa è probabilmente causata da una maggiore libertà finanziaria e margini di budget più ampi, in barba ai nobili precetti d’autore e alle esigenze artistiche.
Tre titoli secchi che trovano significato nella loro fine, negli ultimi fotogrammi discende il senso del percorso drammaturgico, “sono” nella loro fine trattando puramente, a livello tematico, di fine, morte tout court (emerge il rapporto pasoliniano tra fine-morte-significato-montaggio?). E sembrano tre opere indissolubili se si tiene conto dell’ideale enjambement che unisce l’epilogo di Scoop sulla nave mortifera (punto vettoriale nel vuoto, veicolo per il nulla) e l’inizio di Cassandra’s dream nome di una nave che traghetterà i personaggi alla morte. La nave che trasporta da un inizio ad una fine collocata in spazi inaccessibili e oscuri, vaghi riducibili alla trascendenza ma incompatibili con la teologia.
L’ultimo lavoro – da noi apparso con il titolo delaurentisiano di Sogni e delitti – è stato girato, con una velocità che ricorda Wilder, nel brevissimo tempo di un mese, dato che fa sorridere se si pensa al sostanzioso investimento di 25 milioni di dollari di partenza; lo stesso Colin Farrell ha ammesso che tutte le riprese per questo film bastavano almeno per una scena di Miami Vice. Woody ritorna alla forma impediente dell’apologo dopo Match point ma lo fa slargandone le maglie strettissime e mettendo in gioco una visione maggiormente ironica. Match point è una tragedia di morti che parlano mentre sogni e delitti fa lo stesso alterando il gioco, convertendolo dal piano onirico-teatrale a quello puramente cinematografico.
Al di là dell’esito complessivo del film la scena di Farrell (ancora oscillante tra vittima del caos e carnefice consapevole) che incontra al bar un morto ancora vivente è sicuramente l’apice emozionale di un cammino tutto consumato e costretto in una apertura cosmica, è l’istante in cui lo spettatore è sospeso tra il sorriso e l’angoscia, la preoccupazione del ghigno e la leggerezza dell’ansietà thrilling. Forse Cassandra’s dream è la forma ultima del woodyallenismo estesa ai bordi dell’ironia, laddove confina con il suo esatto opposto : l’annichilazione. E non erano pochi a ridere in sala, come sollazzati dalle tiepide note di una spensierata comedy…<
… in attesa di Vicky Cristina Barcelona, già completato.
p.s. grande Zsigmond che supera le luci artisticamente smorzate di Melinda e Melinda e Black dahlia per fornire una superficie omogenea e tranquilla in cui tendere gli animi dei personaggi
p.s.2 grande McGregor ad incarnare lo spirito glaciale e vitreo, quasi imperturbato, di chi non conosce quanti fattori lo stanno determinando (e complimenti al suo doppiatore Riccardo Rossi).
Autore: Roberto Urbani