Umili, concentrati sulla loro musica, senza divagare, tantomeno con il tormento di seguire stereotipi o peggio emulare altre band della loro scena. Gli Starframes sono quattro bravi musicisti con le idee chiare. Esce il secondo, o quasi debut, album. I tipi della BulbArtWork hanno creduto in loro, nella serietà che li contraddistingue, e hanno fatto centro.
Probabilmente non cambiarenno le sorti della musica nazionale ma sicuramente danno la speranza, specialmente al rock partenopeo, che tutto puo ancora succedere.
Ethereal Underground. Un debutto che arriva circa sei anni dopo la formazione della band. Era esattamente questo il risultato che avevate in mente dall’inizio oppure come band avete attraversato più fasi?
In realtà questo per noi è il secondo album studio, ma può essere visto come un debutto italiano, in quanto il primo album è uscito per una piccola etichetta inglese. Il tempo impiegato è stato necessario per affrontare il nostro naturale percorso di crescita compositiva. Non sempre la prima cosa che scrivi a vent’anni è quella giusta. Crediamo, soprattutto, che bisogna maturare un certo bagaglio cognitivo e ascoltare tanta musica prima di mettere in piedi un album.
Nella vostra musica si trovano molti echi della Manchester anni novanta, dagli Stone Roses agli Oasis. Dove finisce la musica dei “vecchi maestri” e dove comincia quella degli Starframes?
La musica di Manchester tra gli ottanta e i novanta è sicuramente la nostra radice melodica, ma siamo molto attenti alle sonorità di band moderne che hanno influenze molto simili alle nostre come Black Angels e Asteroid#4 . Amiamo, inoltre,scoprire le band da cantina degli anni sessanta, pescare tra le compilation di vecchie demo quel pezzo che può darci quell’idea in più.
Vi sentite legati al vostro retaggio territoriale? Che peso ha nella vostra musica il fatto che sia stata concepita in una città come Napoli?
Siamo parte integrante della scena di Napoli, che è composta da molti artisti di assoluto livello. Musicalmente ha un suo peso, perché a Napoli ogni band ha una storia a sé, c’è molta libertà espressiva e le mode non attecchiscono.
Che senso ha riproporre oggi lo stile delle gradi band degli anni novanta?
Il senso più importante è quello di fare la musica che vorremmo ascoltare, ma con la consapevolezza che sono passati vent’anni.
Uno dei vostri primi live è stato allo Sputnik, locale pioniere- a Napoli –nell’ accogliere musica indie, importando le mode d’oltremanica. Che ruolo aveva quel punto di ritrovo per gli Starframes?
Allo Sputnik io, il secondo chitarrista e altri amici mettemmo in piedi la serata “Teenage Kicks”, in cui facevamo ascoltare e ballare generi come il powerpop, l’indie rock dello scorso decennio, il brit pop, lo shoegaze. Eravamo tra i fautori di questa politica e, data la grossa affluenza di persone, abbiamo potuto appurare come quella musica fosse apprezzata anche nella città di Pulcinella. Di fianco a noi c’erano anche altri dj, tra cui i ragazzi della serata “This is mod!”. A tratti sembrava di essere veramente a Manchester!
Cosa significa esattamente portare avanti una band come gli Starframes partendo da un contesto in cui per musica alternativa spesso si intende ben altro (Raiz, 99 Posse, ecc.)? Quali sono stati i principali ostacoli che vi si sono presentati fino ad oggi?
L’ostacolo maggiore sta nel fatto che i nostri testi sono in inglese e quindi arrivano alle persone con maggiore difficoltà. Molta gente può pensare che dietro la scelta di una lingua straniera si possa nascondere una carenza di tematiche, ma i pochi che hanno approfondito le nostre lyrics hanno potuto constatare il contrario.
Scegliere il 2011 come anno di debutto è segno anche di una maggiore fiducia nella scena della musica emergente napoletana?
Crediamo molto nelle potenzialità di Napoli sotto l’aspetto artistico. Siamo sicuri che in questo decennio la nostra città potrà dire la sua anche in un ambito internazionale.
Molte band emergenti sognano di espatriare e continuare a suonare in Inghilterra o all’estero. Voi avete lo stesso sogno? Quali sono le vostre aspirazioni maggiori per questo disco?
I sogni d’Albione sono lontani, siamo cresciuti. Abbiamo dalla nostra l’esperienza dei live a Londra e abbiamo potuto realizzare come gli italiani vengano visti, molte volte, come musicisti di serie B. Vorremmo riprovare a portare la nostra musica al di fuori dei confini nazionali, ma credo che l’Inghilterra debba essere l’ultima tappa di una lunga gavetta. La nostra massima aspirazione è quella di essere una buona band underground, apprezzata in quei contesti dove si suona ad altezza-pubblico e ti rovesciano un cocktail addosso mentre ti stai esibendo. E’ la nostra dimensione e in questo i meriti della band e di chi cura i nostri interessi saranno fondamentali. Tutto ciò che potremo ottenere al di fuori di questo potrà essere solo frutto del caso.
Dance on the Greenwich Meridian by Starframes
What I was made for by Starframes Autore: Olga Campofreda
www.starframesband.com