E’ imbarazzante quanti pochi siano i nomi che vengono in mente quando in un disco, pop o rock che sia, fanno irruzione gli archi. Mamma mia, uno strumento classico – e mo’?! Di solito, per sottolinearne il taglio colto/intellettuale, si tira in ballo la musica da camera o, se non si vuol sconfinare nel campo della classica, ai Rachel’s va la palma dei più citati. Coltelli mulituso da camping per cavarsi d’impaccio nelle recensioni più insidiose.
Per gli En Roco faccio volentieri a meno di tale schiavitù e me ne vado bellamente per sensazioni. Nessuno può vantare il copyright di un violino o di un cello. E poi i 5 genovesi continuano a definirsi “autori di canzonette”. E in fondo è vero. Musica leggera. Un soave gioiello acustico fresco e spensierato come la primavera che si riprende la sua luce e i suoi colori. Ispirazione, metodologia, attitudine: per una volta sbarazziamoci di queste implicazioni-fardello. Bandito ogni appesantimento.
State pensando alle aperture ultra-melodiche tipo Beach Boys o il recente u.n.p.o.c.? Non ci siamo (temo sempre di fuorviarvi con la parte iniziale delle mie descrizioni…). Gli En Roco – così come, per fare un nome, i Perturbazione – sono in cammino su un sentiero dell’indie-rock nostrano in cui il rumore è un optional dotato di validi – e frequentemente utilizzati – sostituti, siano essi gli archi o una maggior attenzioen ai testi e al cantato. Un sentiero “poetico-positivo” in cui ci si preferisce sedere, o avvicinare l’uno accanto all’altro, per cedere mezz’ora e poco più alle tentazioni che un pugno di artigiani della tenerezza non mielosa ci lanciano.
Tiepidi e discreti come una fiammella, eppure in grado di fare tanta luce sul buio di ogni giorno, di ognuno.
Autore: Roberto Villani