In un’ epoca dominata dai suoni digitali e dal rap (forse il vero storytelling moderno), dove il rock arranca non poco, il cantautorato continua a riemergere sotto varie forme, sia all’estero che qui da noi.
La sua configurazione basica e arcaica, fatta di chitarra e voce, rimane ancora oggi un porto sicuro, tramite il quale l’uomo riesce a veicolare le emozioni del proprio vissuto.
Non sarà una struttura musicale capace ormai di sorprendere, però, ogni volta che un artista riesce a farne riemergere la bellezza, la magia si ripete (sebbene la quantità di quelli che si dedicano a questo genere sia, attualmente, inversamente proporzionale alla qualità prodotta).
In tale ambito, tra le piacevoli eccezioni in cui mi è capitato di imbattermi di recente, c’è Lomond Campbell.
L’artista scozzese, fino a qualche tempo fa, vantava una proficua collaborazione col più noto connazionale King Creosote e con il collettivo FOUND.
Nel 2016 il nostro decide di tentare la carriera solistica grazie a Black River Promise, disco che viene pubblicato tramite la sua etichetta Triassic Tusk. L’album viene quindi scoperto da Jeff Barrett, il fondatore della Heavenly Recordings, il quale lo apprezza a tal punto da volerlo rimasterizzare e farlo uscire nuovamente per la pregevole label inglese, sperando così di dargli una maggiore visibilità.
Un azzardo che, visti i risultati, pare dare degli ottimi esiti. Nella quarantina e passa di minuti che lo compongono, il primo lavoro in studio di Lomond Campbell trasuda di passione e sensibilità. Il fascino, alquanto malinconico, della tenue voce del songwiter britannico (che in alcuni momenti ricorda quella del compianto Elliott Smith, vedi episodi come The Misery Bell o Brutes In Life) si sposa bene con le sonorità acustiche di sottofondo, specie quando intervengono delle partiture d’archi, squisitamente concepite da Pete Harvey (King Creosote, Modern Studies), lontane mille miglia dalle melliflue creazioni che spesso si sentono in giro.
Più o meno le coordinate su cui si poggiano le sette canzoni del debutto di Campbell sono queste, eccezion fatta per la leggermente ritmata ed elettrica Every Florist In Ever Town, senza dimenticare poi i due strumentali Fallen Stag e Archaracle.
Alla fine Black River Promise riflette a pieno la voglia di ricerca interiore e le inquietudini che possono sorgere quando si entra in contatto con la natura incontaminata e la sua imprevedibilità (in questo caso le Highlands scozzesi, luogo delle registrazioni).
Del resto, al pari di quella vecchia réclame, in montagna il gusto ci guadagna…
https://lomondcampbell.bandcamp.com/
https://www.facebook.com/LomondCampbell/
Autore: LucaMauro Assante