Un post rock incalzante e di gran classe viene spezzato dai discorsi a reti unificate del Presidente degli Stati uniti d’America, dalla dichiarazione dello sbarco sulla Luna e compagnia bella. Una voce grave e autorevole contribuisce a dare solennità a ritmiche che oscillano tra l’alternative e l’elettronica. L’intera atmosfera è fumosa, come trovarsi all’interno di una nebbia spessa e opprimente, da sentirsi soffocare. Ma ci sono anche momenti di leggerezza cosmica, dove tutto sembra appeso alla cima dell’universo e ci si lascia semplicemente sorprendere. Tuttavia, è l’impegno sociale che ruota attorno a questo concept album dei Public Service Broadcasting, uscito per la PIAS Recordings a luglio di quest’anno. L’album racconta una sorta di epopea, dove i cittadini della sperduta Ebbw Val fungono da esempio della delusione delle classi subalterne nei confronti dello sfruttamento da parte dei poteri forti e la sofferenza delle vecchie comunità, dipendenti da un tipo di economia ormai soppiantato dal progresso. Si parla di politiche economiche, si parla di industrializzazione, si parla di classi operaie relegate e trascurate, si parla di scioperi e delle lotte dei minatori gallesi indignati. Sono temi importanti che non spaventano il duo britannico, il quale affronta il tutto con sonorità elettroniche che affondano le radici nei maestri Kraftwerk o nei più moderni islandesi Mùm, arricchite, in un pezzo cruciale come Progress dalla dolcezza della voce di Tracyanne Campbell, dei Camera Obscura.
Mother of the village, al di là dell’evidenza del titolo, è un lamento disperato e straziante, un lamento che ci tocca nel cuore e che ci riempie di angoscia. La conclusione dell’album è una preghiera, Take me home, “portami a casa”, che si presenta alle nostre orecchie come un canto popolare da chiesa, impossibile da ignorare nella sua superba e commovente spiritualità. Let me sing again recita il testo. Ed è il minimo che tutti noi possiamo concedere.
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autrice: Rossella Gazzelloni