Un disco del genere non lo si può che considerare da almeno un paio di punti di vista. Quello concettuale innanzitutto, che in questo caso mi sembra preminente, e solo in un secondo momento – ovviamente – quello squisitamente musicale.
Herbert, musicista eclettico per eccellenza, si è recentemente impegnato molto sul fronte dell’attivismo socio-politico radicale: sono le degenerazioni del sistema capitalistico e consumistico, in particolare, a fornirgli gli spunti più interessanti. Dopo il progetto per il quale ha scelto l’alias “Radio Boy”, in cui traeva materia sonora dalla distruzione di oggetti “simbolo” del potere globalizzato (l’involucro dei panini del Mc Donald’s, un quotidiano, una lattina di Coca Cola etc…), con “Plat Du Jour” il nostro si avventura nel mondo del cibo, criticandone l’implacabile processo di industrializzazione (a discapito della genuinità) cui è sottoposto, la sconcertante diffusione di cibo-spazzatura dannoso per la salute (e qui viene in mente il recente documentario “Super Size Me” di Morgan Spurlock), la manipolazione dei gusti da parte delle grandi aziende…
Ogni brano del disco prende spunto da una problematica legata al mondo dell’industria alimentare: la carenza dell’acqua in gran parte del cosiddetto “terzo mondo” vs le acque “griffate” del mondo occidentale, le pubblicità per bambini di prodotti non propriamente “sani”, le conseguenze del mercato globale sulle coltivazioni locali, la “sofisticazione” delle carni etc…
La materia sonora – com’era logico aspettarsi – è tutta basata su campionamenti di suoni derivati da cibi (o potenziali tali: come i polli di “The truncated life of a modern industrialised chicken”). Semi, acqua che scorre, lattine, mele, olio che frigge, salsicce alla brace, cereali, bottiglie: tutto diventa suono (per i dettagli “tecnici” vi consiglio di dare uno sguardo all’interessante sezione “The making of” del sito che trovate linkato in fondo), impastato e filtrato, “trattato” e manipolato dalle macchine di Herbert. L’elettronica organica che ne vien fuori, melodiosa ed ironica, sperimentale ma non troppo, non aggiunge un granché, in verità, a quanto già sentito in tali ambiti (la “fonte” sonora, quella si, è indubbiamente molto originale). E’ come se Herbert, tutto preso dall’andare a registrare in giro con i suoi curiosi microfoni i “field sounds” più disparati, avesse finito per trascurare un po’ l’aspetto compositivo. “Plat du jour” è in ogni caso un disco piacevolissimo, frutto di un talento tra i più vivaci in circolazione.
Autore: Daniele Lama daniele@freakout-online.com