Più che del valore in sé, la pubblicazione di “Live In Dublin” (Rough Trade) dei Lankum (di cui comunque parleremo) è occasione utile per riproporre quanto già scritto in relazione al “folk britannico e i corsi e i ricorsi storici nella musica” ed invitare alla lettura QUI: ; un’analisi che offre una panoramica che dai Ceoltóirí Chualann di Seán Ó Riada, passando per Ewan MacColl, Davy Graham, Shirley Collins, Bert Jansch, Planxty, Pentangle, Andy Irvine, Christy Moore … arrivava (appunto) ai Lankum.
Tornando al tema centrale della nostra trattazione, i Lankum, nel 2023, avevano dato alle stampe l’acclamato e ottimo “False Lankum“: ‘La creatura di Ian Lynch e Daragh Lynch (a nome Lynched le primissime produzioni), dopo aver calibrato il tiro con i più che validi “Between the Earth and Sky” del 2017 (in cui spicca “What Will We Do When We Have No Money?”) e “The Livelong Day” del 2019 (ottima “Katie Cruel“), con un “insano” e mirabile equilibrio rompe gli schemi e dà alle stampe nel 2023 “False Lankum”‘ si era detto su queste pagine.
Il successo di “False Lankum” ha portato alla pubblicazione di “Live In Dublin“, registrato il 31 maggio del 2023 al Vicar Street di Dublino.
Va subito detto che la versione in vinile, rispetto a quella “liquida”, conta meno brani (6 rispetto a 9); per una maggiore completezza procederemo all’analisi della versione “on line”.
Il disco si presenta come una summa di quanto di meglio proposto in “The Livelong Day” del 2019 (“The Wild Rover“, “The Young People“, “Bear Creek“, “The Pride of Petravore“, “Hunting the Wren“) e in “Flase Lankum” (“On a Monday Morning“, “Go Dig My Grave“, “Fugue“, quest’ultima da tre parti sommata in una), con la sola differenza (al netto di alcune “variazioni” su “modi” e “tempi”) di un suono più immediato e “puro”, figlio dell’esecuzione dal vivo, rispetto alle registrazioni in “studio”, restando ferma la loro mirabile e peculiare capacità di gestire tensione, sacralità e ritualismo. Il risultato finale, a parere dello scrivente, risulta essere vincente prestandosi il “genere” a una minore “raffinatezza” e a una catartica dimensione live.
Spicca, poi, la bella “The Rocky Road to Dublin“, brano “inedito”, eseguito per voci e “bordone” con la sola tenue “apertura” in chiusura che sfocia in “The Pride of Petravore” che presenta nel finale un cantato con testo tratto da “We Work The Black Seam” di Sting: “One day in a nuclear age/They may understand our rage/They build machines that they can’t control/And bury the waste in a great big hole/Power was to become cheap and clean/Grimey faces were never seen/Deadly for 12, 000 years/Is carbon 14/We work the black seam together“.
Da segnalare, infine, sul retro del vinile il verso dal canto trentatreesimo dell’inferno di Dante: “Soon you will be where your own eyes will see the source and cause and give you their own answer to the mystery” (“Avaccio sarai dove di ciò ti farà l’occhio la risposta, veggendo la cagion che ’l fiato piove“).
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