Qualcuno, guardando titolo del tour e soprattutto la band protagonista, potrebbe pensare a un’operazione nostalgia, di quelle che, ahimé, se ne vedono tante tutt’oggi. Sembra, forse, ma così non è. Non per i Simple Minds.
Non ci stanchiamo di ripeterlo, dal 2014 in poi: i Simple Minds, dall’uscita di Big Music nel 2014, stanno vivendo una nuova meravigliosa terza stagione della loro vita artistica. E questo tour ne è solo una delle tante manifestazioni.
Icone rock-pop negli anni ’80, secondi per fama nel loro genere solo agli U2, negli anni ’90 e nei primi 2000 hanno vissuto, a differenza dei loro cugini irlandesi tanto a loro simili per stile musicale e per voce, un periodo altalenante, sicuramente di chiaroscuri legati soprattutto alla fine del loro successo planetario.
Nonostante dischi affatto brutti come Real Life e Good News From the Next World, e forse per colpa di dischi oggettivamente brutti come Neapolis e Cry, per non parlare di quello mai pubblicato (per fortuna) per dissidi con la Virgin (Our Secrets are the Same) e due raccolte di cover (Neon Lights, Searching for the Lost Boys) la band di Jim Kerr e Charlie Burchill, orfana dei suoi componenti storici e soprattutto del super batterista Mel Gaynor, sembrava a metà anni 2000 persa, e defunto sicuramente il suo appeal nel mainstream.
Lentamente, il duo di Glasgow si è ripreso, mettendo in fila due dischi che rappresentano la prova del nove della loro rinascita: Black and White e Graffiti Soul infatti sono più che degni di considerazione, e finirono nel dimenticatoio solo perché la band non aveva più seguito di pubblico.
Poi è accaduto qualcosa: anzitutto, un colpo di genio commerciale. Piuttosto che spingere sui nuovi dischi, la band e i suoi manager hanno cominciato a remixare e riproporre in ogni salsa i vecchi successi, quelli veramente indimenticabili che tutti associano al sound New Wave della band. Ne vengono fuori due raccolte di hits, Early Gold e Platinum Collection, e due dischi live, di cui uno, il 5X5, raccoglie i 5 singoli di ogni disco da Life in A Day a New Gold Dream. L’intuizione geniale è di portare in tour le vecchie canzoni, ma non solo i grandissimi successi, anche le hit degli anni precedenti, che i veri fan non dimenticano.
Poi, il cambio di marcia con la nuova band: Cherisse Ossei, anzitutto, alla batteria e Ged Grimes al basso, che progressivamente si inseriscono anche nella produzione e composizione e nasce dunque Big Music, definito dalla critica il miglior disco della band dai tempi di Sparkle in the Rain. Definizione non giusta, perché non si possono dimenticare almeno Once Upon a Time e Street Fighting Years, i dischi che contengono le hit forse di maggiore successo come Alive and Kicking e Mandela Day e Belfast Child, ma insomma certamente un disco bellissimo.
Big Music viene dai tentativi, dalle prove con i dischi del tardo 2000 di cui abbiamo detto, dai dischi di cover (Let the Day Begin infatti c’era già in Searching for the lost boys), naturalmente rivisitati e rinnovati in ispirazione. Da allora, la band non si è fermata più: un disco di vecchi e nuovi successi rivisitati in acustico (Acoustic, 2016) il relativo tour a teatro (che toccò anche Bologna e noi c’eravamo), il disco live del tour di Big Music, un nuovo disco, Walk Between Worlds, bello come il precedente se non addirittura di più, un altro tour live (in Italia a Macerata, e anche lì c’eravamo!) e un quadruplo disco live che anche nel titolo riecheggia apposta l’epoca d’oro dei Simple Minds, facendo da contraltare allo storico Live in the City of Lights, ovvero Live in the City of Angels.
E ora, la celebrazione dei 40 anni di successo, con un’altra raccolta del 2019 di cui, dopo la pausa covid, i Simple Minds hanno portato i risultati in tour questo luglio, a Taormina, tappa obbligata visto che ormai vivono lì i due scozzesi, poi Pescara, Pistoia, Roma, e infine questa tappa conclusiva, a Verona.
Un tour sold out ovunque in Italia, grazie alla organizzazione capillare di Live Nation e all’amore folle rinato fra fan e band, che poi, soprattutto in Italia, è un amore tutto speciale visto che Jim Kerr ormai vive più a Taormina che in Scozia (e come dargli torto!)
E, se tutto questo non bastasse, beh non bisogna accontentarsi: a ottobre esce il nuovo disco, Direction of the Heart, con la nuova band al completo, e con ancora Cherisse Ossei alla batteria, Gordy Goudie alla seconda chitarra, la corista Sarah Brown, e Berenice Scott alle tastiere (stessa formazione dei live) e Ged Grimes anche come co-scrittore, per due brani, con la produzione di Andy Wright (Massive Attack, Echo & The Bunnymen) e Gavin Goldberg (Simply Red, KT Tunstall) e ospiti il frontman degli Sparks Russell Mael (“Human Traffic”) e il cantautore Gary Clark (“Vision Thing”, “First You Jump” e “Natural”).
Proprio questo nuovo disco tutto da scoprire, è stato lanciato nei live italiani di luglio. A Verona, all’Arena, accolti dal sold out e senza un buco vuoto tra gli spalti, lo presentano nel bel mezzo del concerto, con Vision Thing, il nuovo singolo, m già anche all’inizio con Act of Love, pezzo nuovo ma che risale alle primissime incisioni, e già il pubblico è tutto in piedi, e già Jim Kerr ondeggia fra la platea e il palco. La festa è cominciata, e terminerà dopo due ore e 19 (troppo pochi) pezzi.
Senza scaldare i motori, già ampiamente caldi, segue Love Song, e poi una chicca, Colours Fly and Catherine Wheel, unico non-singolo di New Gold Dream che il pubblico ascolterà nella serata.
Big Sleep, ancora da New Gold Dream, chiude la parte, diciamo così, di atmosfera: Waterfront, subito dopo, fa esplodere l’Arena già infiammata, e dopo segue Glittering Prize. Per ora il concerto si muove dunque fra New Gold Dream e Sparkle in the Rain, i due album, uno seguito dell’altro, leggendari a dir poco della band. Ecco infatti arrivare una stupenda versione melodica e non elettronica di Book of Brilliant Thing, cantata quasi totalmente da Sarah Brown. Ma l’alternanza fra i due dischi (che saranno alla fine i più saccheggiati) viene interrotta da Mandela Day, canzone tra le più importanti, sotto il profilo non musicale, degli anni ’80, cantata con piena tensione emotiva da Kerr. Un tuffo nel presente arriva appunto con Vision Thing, nuovo singolo, e questa sarà l’unica concessione della serata ai nuovi Simple Minds, quelli degli anni 2010-presente, ed è un peccato perché tra Big Music e Walk Between Worlds ci sono canzoni stupende come In Dreams, Barrowland Star, Sense of Discovery, Let the Day Begin, Midnight Walking, che meritavano forse maggior spazio.
Un drum solo della fotogenica e carismatica Cherisse dà un po’ di pausa alla band, che riprende con Let There Be Love, che insieme con See the Lights più avanti sarà l’unica concessione agli anni ’90 nel tour.
Un momento veramente incredibile è l’esecuzione di Belfast Child: Jim All’inizio prega, cantando, e la sua voce potente si staglia nel quasi silenzio degli altri strumenti, fino a che la canzone esplode con la batteria di Cherisse e diventa un unico inno alla pace e lamento contro la violenza della guerra, e si conclude, di nuovo, con Jim in ginocchio a simulare la preghiera. Un momento epico a dir poco, per una delle esecuzioni più belle di questa canzone che assieme a quella per Nelson Mandela ha fatto la storia dei Simple Minds impegnati.
Arriva poi un’altra sorpresa della serata: una magnifica, sontuosa, solenne Theme for Great Cities, preferita alla più consueta The American per rappresentare in questo tour, con Love Song, i Simple Minds meno conosciuti ma non meno bravi di Sons and Fascination e Sister Feeling Calls, due album troppo trascurati dalla critica: il tema musicale ipnotico e quasi isterico, strumentale e futuristico, la One of These Days dei primissini anni ’80, viene eseguita alla perfezione dalla band con Charlie Burchill perfetto direttore d’orchestra.
Si giunge alla parte finale, quella che dovrebbe far saltare in aria un pubblico già in realtà esploso: beh, ci riescono con Someone Somewhere in Summertime, poi See the Lights, e poi la sequenza micidiale di Don’t You (Forget about me) e New Gold Dream 81-82-83-84. Durante Don’t You accade l’incredibile: il pubblico anticipa Jim Kerr eseguendo il coro forse più famoso di tutti gli anni ’80 prima del momento previsto, e per cinque minuti ininterrotti il pubblico è tutto insieme a cantare “La la la la…” mentre Jim se la gode e scherza, guardando l’orologio e mimando il gesto di chi deve andare via a mangiare, e poi, sempre col pubblico cantante, dice anche in italiano “stamattina la cantavo sotto la doccia, la la la la”. Poi a un certo punto, comprendendo lui e non il pubblico che la canzone deve proseguire e chiudersi, come un incantatore di serpenti invita il pubblico al silenzio e sussurra prima, e poi grida a squarciagola quel “Will you Walk on by? Come on and call my name” che dà al pubblico il via per un nuovo incredibile “la la la la” generale, stavolta accompagnato dalla band che prima era rimasta tutta, divertita e stupita, ad ascoltare l’unisono dell’Arena.
Dopo New Gold Dream 81-82-83-84, altra bomba che esplode dove ormai non ce n’è bisogno, la band va dietro le quinte.
Al previsto bis si presenta con una versione ballad di Speed Your Love to Me, eseguita in acustico solo da Goudie alla chitarra e da Berenice Scott e Sarah Brown alla voce. Jim Kerr è lì ma si limita ad ascoltare deliziato, per poi “evocare” al termine della splendida hit l’altro atteso e immancabile pezzo dei Simple Minds che tutti conoscono, Alive and Kicking. E tutta l’arena è un boato.
Inaspettatamente, dopo la fine del coro di Alive and Kicking, il pubblico pronto a salutare viene accolto dall’ultima, ma veramente ultima canzone di uno spettacolo incredibile, con Sanctify Yourself, eseguita da Kerr quasi totalmente sugli spalti laterali dell’Arena, a salutare, abbracciare e dare il cinque al pubblico.
Sei sul palco più la corista Sarah Brown, ma sono sembrati una orchestra. Spettacolo di suoni e luci, e di una voce potente e suadente come non mai per un Jim Kerr mai così in forma sia come vocalist che come animale da palco. E’ vero, per 40 anni di hits 19 pezzi sono alla fine pochi, mancano tutte le canzoni degli ultimi anni di rinascita e almeno The American, She’s the River e Upon the Catwalk su tutte, ma lo spettacolo regalato (“manchiamo da 30 anni a Verona, vogliamo perciò dare il 100 per cento”, dice Kerr in italiano durante lo show) è per il pubblico di quelli che non si dimenticheranno.
Uno show perfetto, che consacra non solo l’indimenticabile passato, ma anche il presente di questa band che dietro la tenacia di Jim Kerr e Charlie Burchill, unici originari componenti ancora oggi presenti, si è ricostituita con un nuovo gruppo (carismaticamente capeggiato da Cherisse Ossei e musicalmente guidato da Ged Grimes) che dall’LP Acoustic in poi ha saputo dare nuova vita anche ai live, avendo una alchimia che le precedenti soluzioni di turnisti più o meno stabili non erano riusciti a dare dall’abbandono di Gaynor.
Uno spettacolo che speriamo possa continuare anche negli anni a venire, e così dovrebbe essere a giudicare dalla prossima uscita del nuovo disco Direction of the Heart.
https://www.simpleminds.com/
https://www.facebook.com/simpleminds
autore: Francesco Postiglione