Mentre un genere come il rock ristagna in maniera lesionistica verso un mesto autocitazionismo fine a se stesso, non riuscendo ormai ad intercettare la fantasia giovanile né a farsi granché portavoce dei mali della società odierna (eppure, ahinoi, gli argomenti non mancherebbero), il mondo dell’hip-hop (intenso nel senso più ampio possibile) ha preso il suo posto nell’immaginario di tanti appassionati di musica, ergendosi a vero manifesto di questi primi anni del nuovo millennio (benché la storia di tale movimento sia partita tempo addietro).
Tra le leve ad alto tasso di “consciousness”, figurano di certo i Run the Jewels, duo statunitense composto dal rapper-producer El-P e dal mc Killer Mike.
La crew americana sinora ha goduto di un meritato e crescente consenso. Fattore che non dovrebbe andare a scemare, considerata la qualità che permea il nuovo album RTJ4, fresco di pubblicazione.
Si parte subito col botto (in tutti i sensi) Yankee and the Brave (Ep.4), complice un beat a velocità sostenuta, tanto da simulare dei colpi di pistola ed i nostri a sciorinare rime contro la violenza della polizia a stelle e strisce, triste realtà valida ancora oggi.
Meno aggressiva ma altrettanto ficcante la successiva Ooh La La, speranzoso inno anticapitalista, impreziosito dalla presenza di DJ Premier (Gang Starr) e Greg Nice.
Si viaggia con i bassi a manetta, invece, su Out of Sight, dove il potente flow del duo viene amplificato grazie alla partecipazione di 2 Chainz.
Altro giro, altra corsa ed è la volta di Holy Calamafuck e dei sui profumi giamaicani, tanto è vero che al pezzo prende parte anche l’artista dancehall Cutty Ranks.
Si vola addirittura nello spazio con Goonies vs. E.T. sorta di metafora sul risveglio delle coscienze assopite (“Ain’t no revolution is televised and digitized. You’ve been hypnotized and twitter-ized by silly guys”).
Neanche la “neve” è capace di fermare l’incalzante ritmo della seguente Walking in the Snow che anzi aumenta vertiginosamente, merito pure dell’intervento della rapper Gangsta Boo.
E’ il suono dei bassi potenti e distorti a marchiare a fuoco JU$T, brano al fulmicotone sull’odierna schiavitù legata alla brama di denaro che si avvale dell’adesione in voce di Pharrell Williams e di un al solito rovente Zack de la Rocha (RATM).
Più plumbea e rarefatta risulta essere l’atmosfera che emana Never Look Back e le sue riflessioni legate agli insegnamenti regalati dallo scorrere del tempo (“Gratitude is everything, time is nothing”).
Subito dopo tocca a The Ground Below riprendere la corsa. Complice un campionamento di Ether dei Gang of Four, il pezzo riprende a macinare rime a velocità sostenuta, andando a sfanculare le idee di alcuni oligarchi (Napoleone, Hitler) del passato (“Your love never meant much to me”).
Prima che la scaletta si concluda rimane ancora il modo di godersi il soul digitale di Pulling the Pin, comprensivo della vocalità gospel della veterana Mavis Staples e dei cori di Josh Homme (Queens of the Stone Age).
Il finale viene affidato a A Few Words for the Firing Squad (Radiation), il pezzo forse dagli accenti più rock del lotto, dove negli arrangiamenti si alternano chitarra elettrica ed archi, oltre ad un sax dal suono stentoreo per un testo che invita a non arrendersi ai soprusi, specie quelli che riguardano la comunità afro-americana.
Riannodando i fili del discorso, RTJ4 è un disco che sa giocarsi bene le frecce disponibili nel proprio arco, diversificando in maniera mirabile l’impegno profuso nelle liriche ed il divertimento legato alle basi musicali ed al ritmo del flow, evidenziando oltretutto la bontà dei featuring qui presenti che non sono dei semplici specchietti per le allodole ma dei contributi utili allo scopo prefisso.
I “gioielli” di El-P e Killer Mike a quanto pare, quindi, luccicano ancora sino quasi ad abbagliare e speriamo lo siano ancora a lungo perché ce n’è un dannato bisogno.
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autore: LucaMauro Assante