Avevo presente la Danielson Famile, e relativa label Sounds Familyre, e, in effetti, ci siamo praticamente in pieno. Daniel Smith, mente di tutto ciò, può contare su un consistente braccio operativo familiare (tra padre, fratelli, sorelle, moglie, figlia ammontano a quasi una decina), senza contare coloro i quali hanno aderito a quella che, più che una scena, è un vero e proprio programma spirituale ed esistenziale, da Sufjan Stevens fino a Glex Galaxy aka Soul Junk (un tempo chitarra nei Trumans Water, con cui continua, from time to time, a condividere scellerate demenzialità – ma ditemi un po’ se è possibile…), che, a far data dall’album “Tri-Danielson!!!”, può permettersi di far partire, dalla band madre, ben tre “filiazioni” artistiche.
Sì, Daniel Smith è un fervente credente in Dio, uno che sembra saper coniugare senza conflitti questa condizione con la “corruzione” della “everyday life”. Uno che canta la gioia di ciò che la vita, a saper cercare bene, può offrire. Uno che non si adagia sulle mollezze a cui la musica può indurre e che fortifica, ancor più, lo spirito con l’attività di carpentiere comporta (sta scritto, d’altra parte, “guadagnerai il pane col sudore sulla fronte”).
Giunti a questo punto della dissertazione, potrebbe farsi strada il sospetto/timore di aver a che fare con qualcosa che, immerso nella cieca contemplazione della gioia divina, possa avere men che poca dignità strettamente artistica. Invece no, e questa cosa, vi freghi o no, mi fa godere ancor di più. Se fai buona musica e credi anche in qualcosa di così forte, hai un di più, e non te lo può togliere nessuno.
Ed è proprio questa gioia che, anziché risolversi in una “lode musicale” senza apprezzabili spunti sonori, sembra essa stessa fonte purissima di fertile creatività, da cui sgorga qualcosa di cui forse solo Captain Beefheart aveva, icnonsapevolmente, gettato in terra il seme. L’iniziale ‘Things Against Stuff’ concretizza qualcosa che può definirsi “bluegrass-punk”, animato, movimentato, effervescente, voce di un adulto che sprizza entusiasmo nel suo occasionale tornar bambino (quegli incredibili acuti di Daniel, poi…). Un sound pimpante che non trova nella opening-track un isolato episodio, per riemergere, in un crescendo graduale, all’interno di altri, riuscitissimi brani (‘Cookin’ Mid-County’, ‘Animal in Every Corner’, ‘Our Givest’, ‘Sweet Sweeps’, fino alla trionfale chiosa della conclusiva title-track), un canto – in senso ampio, non solo vocale – che si fa ascoltare, e se possibile intonare, con le lacrime agli occhi.
Ma non solo di arrembaggi sonori ci nutre il buon Daniel. Già una buona metà degli episodi citati sa essere anche soffice prato su cui adagiare le proprie membra, quello stesso che ammanta, incontrastato da velleità “rock”, brani come ‘Daughters Will Tune You’ (in cui il banjo diventa strumento straordinariamente ritmico), ‘Perennial Wine’, ‘Hammers Sitting Still’ e ‘Physician Heal Yourself’ (in cui il sound di Daniel si fa terribilmente desolato e struggente), creando un’atmosfera di riconciliazione, quasi di rivelazione, a cui è difficile sottrarsi. Il coro è aperto, e chiunque può accomodarcisi…
Autore: Bob Villani