Ci sono dischi che rappresentano un piccolo grande evento. “Easy Listening for the Underachiever” (Olde Haat) è uno di questi perchè segna il ritorno di una delle più leggendarie formazioni del rinascimento garage degli anni ’80: i Morlocks. Formata dal carismatico cantante Leighton Koizumi subito dopo aver concluso la sua esperienza con i seminali Gravedigger V (il cui “All Black & Hairy” è ancora oggi un culto per i fans del genere), la formazione californiana durò appena un paio di stagioni. Il tempo necessario per scolpire il proprio nome della leggenda, grazie a due dischi (“Emerge” e “Submerged Alive”) e soprattutto alle travolgenti esibizioni dal vivo.
Poi varie vicende portarono Leighton a scomparire dalle scene e girò addirittura la voce che fosse morto. Invece qualche anno fa il cantate ha sorpreso tutti, tornando improvvisamente in pista con un bel disco di covers Sixties (“When The Night Falls”, 2003) realizzato insieme agli italiani Tito & The Brainsuckers. Ed ha anche mantenuto la promessa di ricreare i Morlocks con una line-up totalmente rinnovata che include l’eccellente chitarrista Bobby Bones. Il risultato è “Easy Listening for the Underachiever”, un album che trasuda passione e amore assoluto nei confronti del garage-punk: nove tracce senza compromessi, incluse le grintose cover di “Teenage Head” dei Flamin’ Groovies e “Get Out of My Life Woman” di Allen Toussaint, che riportano in auge il nome dei Morlocks.
Sempre in tema di icone garage, che dire di Billy Childish, il più prolifico songwriter di tutti i tempi? Abbiamo perso il conto preciso, ma con “Punk Rock At The British Legion Hall” (Damaged Goods/Good Fellas), il Nostro dovrebbe già aver superato la settantina di dischi con formazioni diverse – Milkshakes, Headcoats, Mighty Caesars, ecc. – ma sempre guidate dai suoi guizzi e dalle sue inclinazioni garage-punk. Anche questo nuovo lavoro, accreditato a Wild Billy Childish and the Musicians of Brithish Empire, non si discosta dallo spirito che ha sempre animato le gesta del musicista britannico. Vale a dire un approccio sonoro lo-fi e un tiro musicale sempre sulla linea di confine che divide garage e punk, con saltuarie incursioni nel più sanguigno R&B. Come ci dimostrano le quattordici nuove canzoni di “Punk Rock At The British Legion Hall”, alcune delle quali particolarmente graffianti e ispirate: vedi l’iniziale “Joe Strummer’s Grave”, le impattive “Unfold Me” e “Snack Crack” o il fantastico divertissement blues di “Bugger The Buffs”.
Un altro gruppo inglese degno di menzione risponde al nome di The Higher State, il cui album di debutto “From ‘Round Here” esce per l’italiana Teen Sound. Il quartetto, formatosi due anni or sono dalle ceneri dei Mystrated (una delle principali formazioni neo-Sixties dello scorso decennio), si ripropone di far rivivere – almeno musicalmente – la magia dei favolosi anni ’60. Con una formula che incrocia le malie della West Coast e il caleidoscopio sonoro della psichedelia. Queste due anime musicali convivono tranquillamente nelle quattordici tracce di “From Round Here”: se “Look Around” e “Van Gough (It’s art man)” sono puri confetti lisergici, le melodie scintillanti di “Ballad Of A Loner” e “Not This Word” richiamano il folk-rock di Byrds e Love, mentre l’iniziale “Every word” mette in mostra un piglio più deciso e un sound più “fuzzato”. Un disco perfetto per chi ama il versante più meditato e tranquillo del Sixties-sound.
Per chi invece preferisce ritmi più serrati e impattivi, consiglio di non perdersi “The Rock’n’Doll Sound Of” (Teen Sound) delle australiane Dollsquad. Un disco in cui il quartetto di Melbourne mette in mostra tutto il proprio amore per il power-pop, il rock’n’roll e il garage frullandoli in una spettacolare miscela sonora. Così se in “Fast Girl” le chitarre aggressive, la ritmica monolitica e il groove di Farfisa rimandano alle Pandoras, “In The Meantime” e “Don’t You Go Go” strizzano l’occhio ai Blondie, mentre la cover di “Don’t Push Me Around” degli Zeros assume connotazioni power-pop. Pur senza inventare nulla di nuovo, le Dollsquad hanno molte chance per piacere: un bel tiro sonoro, canzoni che rimangono in testa dopo pochi ascolti e, non ultima, una bella immagine. Da seguire con attenzione.
Altra formazione tutta al femminile, le Boonaraaas di Düsseldorf sono un nome storico della scena underground tedesca. In attività da più di dieci anni (il loro primo 7” è del 1995), il quartetto suona su strumenti rigorosamente vintage e tira fuori una miscela di garage e power-pop che ama definire “She-Sound 2000”. Una formula azzeccata che viene riproposta anche nel loro terzo album “5 Steps Ahead” (Sound Of Subterrania!/Good Fellas). Si tratta di una manciata di canzoni – tredici per l’esattezza – che brillano per verve e stile e in cui appare evidente la voglia di divertirsi e di divertire che anima le mosse delle Boonaraaas. Dall’iniziale “Out Of Sight” fino alla conclusiva “Stole My Style” si snoda un percorso – ora più virato verso un versante Sixties, ora più marcatamente power-pop – assolutamente solare e contagioso.
Spostandoci dall’Europa agli States, e più precisamente ad Austin, ritroviamo gli Ugly Beats a due anni di distanza dal bel debut-album “Bring On The Beats!”. Il quintetto texano prosegue il proprio percorso musicale partendo da dove era stato interrotto, ma con una più marcata inflessione melodica. Le dodici tracce di “Take A Stand With” (Get Hip) si muovono tra episodi garage (la title-track, “Light Comes On, con un bellissimo assolo di chitarra), rimandi al versante più morbido dei Sixties (“Million Dollar Man”, l’acustica e folkeggiante “Get In Line”) e tre cover efficacissime: la strumentale “Action Plus” dei Ventures, “You’re The One” di Nikki Corvette e “Let Me Through” dei Remains. Una bella conferma.
Si muovono, invece, su territori decisamente più psichedelici i Dragontears, sorta di supergruppo underground danese formato da membri di On Trial e Baby Woodrose, tra cui lo stesso Lorenzo Woodrose. Già il titolo “2000 Micrograms from Home” (Bad Afro), citazione della più nota “2000 Light Years from Home” dei Rolling Stones, lascia intendere quali sono i meandri – musicali e mentali – in cui il sestetto vuole perdersi. Si tratta di sei momenti circolari, sei brani lisergici ed espansi che funzionano come un unico viaggio musicale verso dimensioni altre. Dall’iniziale “Microdof” si snoda un trip sonoro il cui apice è raggiunto dai sedici minuti della fluttuante “The Doors of Prescription” e nel cosmic-sound di “Hobbittens Drøm”. Un disco impedibile, se amate la psichedelia più oscura e dilatata.
Chiudiamo segnalando alcune ristampe interessanti. Intanto quelle degli Avvoltoi, nome storico della scena underground italiana dei medi anni Ottanta. La formazione di Bologna, guidata da Moreno Spirogi, fu la principale protagonista di una breve ma intensa stagione volta al recupero delle sonorità del “bitt” italiano. A distanza di quasi venti anni rivedono oggi la luce – via Contempo/Good Fellas – i due album pubblicati dalla band: “Il nostro è solo un mondo beat” (1988) e “Quando verrà il giorno” (1990).
Il primo disco è davvero un piccolo culto underground in cui la passione per il beat dei Sixties si declina nelle sue varie sfaccettature: da brani naif (la title-track) ad episodi più grintosi (“Gli Avvoltoi sono qua”, “Questa Notte”), da numeri dal fascino vagamente psichedelico (“Tu Lo Sai”) ad altri misteriosi ed intriganti (“Giardino dei fiori”). Ci sono poi le covers: “Tutto Nero” (la “Paint It Black” dei Rolling Stones), “Gloria” (Them) ed “Hey Joe”, italianizzate e riproposte con piglio sanguigno. E non mancano le bonus-track: dall’introvabile singolo “Questa Notte” a brani provenienti da compilation e antologie, inclusa l’eccezionale cover di “The Witch” (Sonics) ribattezzata “Ora Sai Perché”.
Il secondo album vide una piccola rivoluzione nella line-up della band bolognese. E conseguentemente gli Avvoltoi si allontarono dalle pure matrici beat. Così in “Quando verrà il giorno” i fiati fanno capolino in “Lei m’ama” e “Molti anni fa”, la psichedelia in “Along The Sidewalk” e il pop in molti altri episodi, da “Io Sono Una Star” a “I Colori del Vento”. Il risultato fu un lavoro musicalmente più ricercato ma anche meno intrigante e convincente del precedente.
Un’altra ristampa degna di segnalazione riguarda “Everything’s There” (Teen Sound) di The Others, la formazione guidata da Massimo Del Pozzo che, nel clima desertificato degli anni ’90 (almeno per la cultura garage-beat), tenne alto il vessillo del Sixties-sound.
Nel 1997 il gruppo romano, già artefice di diversi lavori di buon livello, diede alle stampe quello che probabilmente rimane il suo miglior album. In “Everything’s There” – oggi ristampato per la prima volta su CD, con l’aggiunta di due bonus-tracks – la formazione capitolina riesce a unire nello stesso calderone sonoro tutta una serie di influenze riconducibili ai meravigliosi anni Sessanta: dal folk-rock di stampo californiano a certa psichedelia crepuscolare fino alle inflessioni più delicate del garage-beat europeo. Anche la scelta delle covers (Human Expression,Q65, Morning Dew), per nulla scontata, evidenzia l’interessante percorso di ricerca/riscoperta musicale intrapreso dagli Others. Un percorso musicale che oggi è possibile riscoprire grazie a questa opportuna ristampa.
Autore: Roberto Calabrò
www.myspace.com/themorlocks – www.myspace.com/themusiciansofthebritishempire – www.myspace.com/theofficialdollsquad – www.myspace.com/theboonaraaas – www.myspace.com/gliavvoltoi