Patrick è una specie di orfanello, affidato alle “cure” di una matrigna disamorata e disinteressata. Vive nel “mito” della madre: un’irresistibile ragazzotta bionda, dall’aria da diva holliwoodiana. È in guerra dentro di sé: costretto a combattere tra il desiderio irresistibile di diventare donna e la voglia di colmare il vuoto dell’assenza – agognando con tutte le proprie forze il momento in cui potrà ricongiungersi alla madre.
Presto scapperà dalla timorata Irlanda per lasciarsi ingoiare dalla megalopoli inglese e mettersi finalmente, sulle tracce di lady Fantasma…
In “Breakfast on Pluto” Neil Jordan riprende gli stessi temi de “La moglie del Soldato”, affrontandoli però, in maniera frivola e leggera e accompagnando il flusso narrativo di elementi spesso leziosi (vedi i pettirossi che parlano) e ridondanti (la divisione in capitoli, che ricorda in qualche modo “L’estate di Kikujiro” di Takeshi Kitano).
Chi ha amato quel piccolo capolavoro che è “The crying game”, non può non rimanere perplesso di fronte ad un film che nonostante la caratterizzazione di attori sublimi (dall’impressionante Cillian Murphy a Liaam Neeson, da Brian Ferry a Brendan Gleeson), l’incredibile capacità tutta jordaniana di ricostruire le ambientazioni e riproporre il gusto del tempo in cui si scioglie la trama, che nonostante una colonna sonora come al solito, meravigliosa; si rivela in fin dei conti, solo una parodia: una favoletta scritta male, dove non c’è spazio per l’introspezione psicologica, dove non c’è sofferenza, né responsabilità e dove tutto è vissuto con troppa leggerezza.
Manca qualcosa alla Patty “Gattina” Brady di Murphy: è troppo oca, per poter sembrare vera.
Interessata solo ai suoi boccoli biondi e al modo migliore di vestirsi.
È una Barbie dal cuore di plastica, abbandonata dalla madre che cerca disperatamente, rincorsa dal padre che l’ha vegliata instancabilmente, coccolata dagli amici che a differenza sua, vivono sulla Terra, finendo in qualche modo invischiati negli accadimenti che l’attraversano.
Cosa può mai fregare a Pat che è tutta presa dalla propria vicenda personale, dell’IRA e dell’occupazione dell’esercito inglese?
È come se il tempo non la toccasse, come se vivesse in una dimensione fatta apposta per lei, su un altro pianeta.
Per lei, che vive in un mondo fittizio, fatto di morbide pellicce e di colori pastello, non c’è violenza: l’unico ricordo che le rimarrà dei Bloody Times, sarà una smagliatura sulle preziosissime calze di Dior e una chiesa fiammante.
Autore: Michela Aprea