Lasciati alle spalle i sinistri scenari di “Liberation” (sorta di concept sull’America ai tempi di Bush junior), i Trans Am tornano con un disco – a modo loro – più spensierato e meno cupo, pur mantenendo perlopiù inalterati gli ingredienti del proprio sound: massicci strati di sintetizzatori, suoni saturi, ritmiche serrate, distorsioni, briciole di post rock e inflessioni electro.
Il cambio di “atmosfera” si intuisce già dal mood dell’iniziale “First words” (chitarre melodiose che scorazzano tra leggiadri riff di synth…), per poi trovare conferma nelle ariose aperture melodiche dello strumentale “4,738 regrets” (un pezzo di una leggerezza inedita, per i Trans Am), e nelle voci di “North east rising sun”, più vicine ai colori dei Beatles in fase psichedelica che agli incubi da futuro orwelliano evocati dai vocoder fino a ieri tanto amati. Si va avanti tra cambi di registro radicali: se “Obscene strategies” e “Climbing up…” hanno un bizzarro retrogusto funk, “Shining path” e “Conspiracy of the gods” rivelano invece il mai celato amore dei nostri per le chitarre smaccatamente heavy metal (che impazzano tra synth e richiami al kraut-rock).
“Sex change” è probabilmente il disco “di transizione” di una band che ha deciso di lasciarsi alle spalle le caratteristiche più claustrofobiche della propria musica, senza però rielaborare un’alternativa radicalmente “nuova”.
Fermo restando che restano dei musicisti di altissimo livello, personalmente li preferivo quando erano più incazzati.
Autore: Daniele Lama