Quando l’amore per la propria città si trasforma in culto indissolubile, si anela la volontà di individuarla con qualcosa di univoco, che non lasci dubbi o incertezze.
Nel caso del power-trio dei Bad Black Sheep, tirano in ballo il codice catastale di Vicenza per titolare il nuovo, terzo album “L840” (Vrec), come testimonianza d’affetto viscerale per la provincia veneta. Nei nove brani in elenco, si denota un flow sonoro che rimanda agli anni ’90, guidato da un collettivo che applica bene le influenze ricevute tra curve di alt-rock, grunge e manciate di punk ma proiettate verso un’attualizzazione necessaria e dovuta, per non restare circoscritti solo in àmbiti passati.
Talmente è intensa l’adorazione per la terra natia che, anche se scritta al contrario, “Azneciv” è sempre riconoscibile, a tal punto da onorarla come primo singolo estratto, fornito di belle chitarre graffianti e melodiose per un inno decisamente corale. L’altro singolo è “Arancione”, il colore dello sprintz, simbolo distinguibile del classico aperitivo che ingloba, non solo una godibile bevuta, ma in quelle soste al bar si ritualizzano una miriade di confessioni, disquisizioni e considerazioni sul futuro incerto e claudicante, tramite un rock sofferto e passionale e, ad “Argine” del loro fiume in piena, scorre tanto di quel sangue ribollente di emozioni e prospettive traballanti che non possono mitigare neanche con spruzzi di “Fontana” nostalgica, pronta a passar la mano alla splendida ballad “La città”: giusto un attimo di respiro per tornare a “giganteggiare” nell’effluvio power di “Nani”, mentre impennano di brutto nella Greendayiana “I viaggi che non mi ricordo” , come a sancire che nella loro indole brulica (indissolubilmente) “Ferro dentro”, battuto con piglio convincente e risoluto, che viaggia a mille persino omettendo la batteria nella closing-track “Se partirai”, ma sorretta da sferzanti e solide guitars.
“L840” va, comunque, interpretato come un concept-album, poiché, in ogni traccia vige quel sottile ma robusto filo che lega Filippo, Francesco e Gregory all’amata Vicenza, riuscendo a schivare la retorica, con un trattato gagliardo e verace, parimenti ad un’ epinicio gaudente e meravigliosamente sincero.
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