Sempre più esistenzialista ed avvolto su se stesso Edda. Per il suo secondo album solista, a differenza del disco d’esordio “Sempre biot”, ha deciso di rendere il sound più complesso che ad un confronto risulta molto più scarno.
Se i testi, spesso molto ermetici, mantengono una forte impronta esistenzialista, nel sound l’ex cantante dei Ritmo Tribale ha voluto aggiungere gli archi restando sospeso tra classica e modernità.
“Odio i vivi” è un disco articolato difficilmente classificabile come il suo autore, per i cambi di registro stilistico e per il suo cantato obliquo, melodico, ma anche disperante e graffiante Edda risulta unico in Italia.
Anche in questa occasione il Rampoldi si è fatto aiutare nella scrittura dei testi da Walter Somà. Quando sono presenti gli archi il sound si avvicina a quello degli Afterhours degli anni ’90 (“Emma”, “Il seno”), ma il noise utilizzato ricorda anche quello dei Velvet Underground.
In questo lavoro, infatti, ci sono molti momenti di sperimentazione, vuoi per l’utilizzo della voce accompagnata da certe sonorità stranianti (“Anna”), vuoi per come riesce a coniugare romanticisimo a momenti naif e maledetti (“Marika”).
Un’altra caratteristica importante del disco è il fatto che ci sono quattro titoli che richiamano nomi femminili, potrebbe essere un suo modo per omaggiare l’universo femminile? Il brano più intrigante è l’ “Omino nero”, nel quale i feedback forvianti si incrociano con improvvise esplosioni di vibrante noise. “Odio i vivi” più di “Sempre biot” farà molto discutere perché non lascia indifferenti, anche se non piacerà a tutti. In ogni caso per il sottoscritto è un disco che apre molte possibilità nel modo di intendere, in Italia, il nuovo corso del cantautorato rock.
Autore: Vittorio Lannutti