A scorrere la discografia di Mark Lanegan solista potrebbe sembrare che il songwriter statunitense si sia preso una lunga pausa dato che il suo precedente album, “Bubblegum”, risale addirittura al 2004.
In questo lungo lasso di tempo, viceversa, egli ha dato vita a svariate collaborazioni (da segnalare quelle “corpose” con Isobel Campbell, Soulsavers, Gutter Twins), alcune delle quali più estemporanee, hanno visto il nostro partecipare a brani dal marcato accento elettronico (tipo “Black River” con Bomb The Bass). Un’influenza, quella per i suoni sintetici, che in pochi avrebbero associato all’uomo di Ellensburg (lo stesso ha citato, di recente, fra i suoi artisti preferiti i Kraftwerk, pensa te…). Una fascinazione che si avverte, saltuariamente, anche su “Blues Funeral”.
Non che, in passato, siano mancate accenni di questo tipo, ma ora canzoni come “Ode To Sad Disco”, giocano a pieno con tale immaginario, ampliando la gamma di soluzioni a sua disposizione. D’altro canto, ovviamente, non mancano composizioni “alla Lanegan”.
Fulgide dimostrazioni sono il nerboruto rock di “The Gravedigger’s Song” (il primo singolo estratto dall’album) oppure la lisergica “Leviathan” o la nenia acustica di “Deep Black Vanishing Train”, tutti ambiti in cui il buon Mark ha già avuto modo di metter in luce la sua maestria.
L’eccellente bilanciamento fra vecchio e nuovo ha perciò evitato l’impantanamento su strade, sin qui battute in maniera mirabile. Fosse riuscito a fare altrettanto sul piano vocale, Lanegan avrebbe messo a segno un notevole punto di svolta. Poco male, al momento “Blues Funeral” svolge egregiamente il ruolo di crocevia verso orizzonti, inaspettatamente più ampi del previsto.
Autore: LucaMauro Assante