Syd Barrett, fondatore e leader dei Pink Floyd dal 1966 al 1968, allontanato dal gruppo a causa dell’abuso di droga e soprattutto per i gravi problemi psicologici, poi successivamente autore di una carriera solista brevissima, di nicchia, fortemente rivalutata però dalla fine degli anni 80 e ormai quasi unanimamente considerata di alto valore artistico al pari di ‘Astronomy Domine’, ‘Lucifer Sam’, ‘See Emily Play’ e delle altre sue perle pinkfloydiane, è morto nella sua Cambridge nel 2006, dopo una vita che non gli ha risparmiato il dramma della malattia mentale – il primo ricovero in clinica psichiatrica nel 1972, a soli 26 anni, segnò di fatto la sua fine artistica – ed oggi l’etichetta discografica italiana Octopus rec. omaggia il grande artista con quest’album tributo, in cui vari artisti reinterpretano le canzoni del repertorio solista di Barrett.
Come sempre accade in questo tipo di operazioni, i musicisti si dividono tra coloro che tentano riguardosamente di rimanere fedeli allo spartito e allo spirito della canzone scelta o commissionatagli, e coloro che al contrario tentano l’insidiosa via della reinterpretazione in chiave personale e dello stravolgimento formale e/o simbolico; Syd Barrett, che di per sè stravolgeva la propria musica di continuo, e per quanto ne so non ha mai suonato due volte in modo identico la stessa canzone, avrebbe gradito credo la seconda impostazione.
In ‘Clowns and Jugglers: a Tribute to Syd Barrett’, dunque, le canzoni talvolta si trasfigurano, ed ecco dunque che, nello specifico, irrobustendo le musiche in chiave rock, i Mesmerico, i Fuh ed i Super Elastic Bubble Plastic riescono in ogni caso a mantenere vivo il senso originario delle canzoni; i Kings Castles, i Jennifer Gentle e Filippo e Francesco Gatti – tutti davvero eredi artistici del cantautore britannico – ugualmente vanno a segno, rimanendo però fedeli al testo in tutto e per tutto, e tutto sommato anche gli Atari fanno bene, malgrado osino di più, con base elettronica, ma non lasciando scappare lo spirito rallentato di ‘Terrapin’; Gasparazzo rifà la giocosa ‘Love you’ in una curiosa veste reggae, mentre le altre interpretazioni presenti sul tributo, per la verità, non mi sembrano mai particolarmente a fuoco, o comunque lasciano scappare l’anima della canzone, senza sostituirvi nulla di interessante. Lo stesso Moltheni, che tenta di attenersi calligraficamente ad ‘It’s Obvious’, rimane scolastico, fra l’altro con una pronuncia inglese non impeccabile.
Va detto che la bellezza dei lavori solisti di Syd Barrett – tre album: ‘The Madcap Laughs’ (1969), ‘Barrett’ (1970) e gli inediti + versioni alternative di ‘Opel’ (1988) – sta sia nell’assoluta genialità compositiva, sia nella frugalità delle incisioni – che oggi definiremmo lo-fi… – sia nello stile esecutivo distaccato, ipnotico, quasi catatonico in alcuni momenti – ricorderete ‘Word Song’, tratta da ‘Opel’, ovviamente non presente su questo tributo: lì Barrett, con tono apatico, enunciava una settantina di parole in successione, prese probabilmente a caso dal vocabolario, senza alcun legame concettuale apparente… – musica che vuole dunque trasmettere smarrimento; niente rabbia, allegria o tristezza, piuttosto l’esecutore che si assenta, facendo brillare di più la melodia, i testi sognanti, spesso vere e proprie filastrocche infantili su folletti e mondi fatati.
Autore: Fausto Turi
www.octopusrecords.net – www.myspace.com/octopusnapoli