Autore: Vittorio Lannutti | |
Devo confessarlo! Non avrei mai creduto che dopo quel capolavoro che è stato “Spirits” i Cheap Winesarebbero stati in grado di continuare a manentere un livello compositivo ugualmente alto. “Spirits” è stata una folgorazione, uno di quei dischi che pensi sia definitivo e che quindi il seguito non potrà essere all’altezza. Invece i pesaresi hanno dimostrato che si può mantenere e superare un certo livello compositivo. “Based on lies”, questo il titolo del nono cd, dimostra, in circa 51 minuti, una carica emotiva e una perfezione non comune, dove il sound è privo di imprefezioni o sbavature. Sarà stato l’innesto definitivo del tastierista Alessio Raffaelli, che si è integrato benissimo nella macchina da guerra che spara blues, a completare il sound dei membri storici: Alan Giannini alla batteria e alle percussioni, Alessandro Grazioli al basso, Michele Diamantini alla chitarra e testi e Marco Diamantiniall’armonica e alla voce. Di fatto il quintetto pesarese è in grado di sfoderare dal cilindro qualsiasi cosa ruoti attorno al genereAmericana, quasi come se fosse nato negli U.S.A.. Il modo in cui sono costruite le canzoni le parti armoniche e i testi non hanno nulla da invidiare ai grandi cantautori rock di oltreoceano. Sulla stessa lunghezza d’onda di Bob Dylan, Neil Young e Bruce Springsteen, i CW di “Based on lies” prendono di petto le conseguenze nefaste a cui ci ha portato il liberismo economico, e denunciano, a partire dal titolo, le bugie che i capitalisti, attraverso i mass media, ci raccontano. Tuttavia il loro stile non è sloganistico, anzi è cantautorale dunque l’incorcio di chitarre e tastiere che introducono “To face e new day” sono il modo più efficace per sostenere il testo che parla della paura di non avere un futuro; un brano perfettamente in liena con il successivo “The stone”, ballata blusata con banjo sulla tragedia della perdita del posto di lavoro, talmente efficace da sembrare una outtake di “Wrecking ball” di Bruce Springsteen. In questo disco ci sono anche diversi episodi dotati di un gran tiro rock-blues che rimandano ai primi Black Crowes, come l’iniziale “Breakway” o la traccia “Give me Tom Waits”, una bella cavalcata rock-blues che contiene diversi stilemi classici del rock, come la fuga, la maledizione e la voglia di andare contro corrente. Corrono senza fermarsi mai i “nostri”, continuando testardamente (per fortuna) ad essere indipendenti e autarchici, dimostrando che è questo l’unico modo per restare a galla, mentre il resto del mondo sta scivolando inesorabilmente nel baratro. | |
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