Oramai è la band di maggior successo degli ultimi tre anni, se dal circuito indie italico doveva emergere un gruppo, un sound o “una nuova epserienza di rock italiano” allora lo possiamo individuare nel loro modo di fare musica e arte. Grazie al coraggio, e all’esperienza di Capovilla, il tutto assume connotati ancora più ampi: politica, filosofia, analisi sociale e ribrezzo per certe cattivi abitudini di noi italiani.
In occasione del loro live al Neapolis festival, il 18 luglio con i Dinosaur Jr., abbiamo incontrato il frontman del gruppo veneto.
Il Teatro Degli Orrori ritorna portando con sé “Il Mondo Nuovo”: se il mondo non sarà nuovo almeno in Italia c’è qualcosa di diverso. Caduto Berlusconi ci siamo andati a fare una gita sui Monti: e mò?
E mò? Non credo che il governo Monti sia un governo “tecnico”: un governo così “politico” non lo si vedeva da molti anni, forse dai tempi del governo Amato. Monti sta facendo scelte che sarebbero impossibili per un governo di destra o di sinistra: scelte tanto difficili, dalla riforma del mercato del lavoro, alla lotta all’evasione, che solo una maggioranza bipartisan rende possibili. La situazione è quanto mai singolare.
Come siamo arrivati a questa situazione?
Il ventennio berlusconiano è la causa evidente e principale dell’esistenza stessa di questo governo. Berlusconi è stato certamente il peggior primo ministro della storia dell’Italia repubblicana. Noi italiani siamo fatti così: ci vogliono vent’anni per capire quanto certa gente sia inadeguata.
Ma la sinistra in Italia che fa? Esiste ancora una sinistra che possa definirsi tale?
La sinistra esiste, ma si è da tempo aggrovigliata nel meccanismo osceno dei privilegi della classe politica. Dovrebbe ritrovare il coraggio delle proprie idee, e dovrebbe anche liberarsi di un paio di dinosauri ormai inservibili.
Sei un musicista, un artista, e come tale sei un comunicatore. Una delle cose che più mi preoccupa è la fallacia della comunicazione. In un marasma di concetti e, soprattutto, messaggi veicolati, le persone si trovano sempre più sommerse da un mare di informazioni senza che queste possano essere ragionate dall’individuo. Spesso queste vengono assunte in modo passivo. La mia paura è che questi pensieri, anche quando del tutto giusti e condivisibili, diventino dogmi, assunti senza chiedersi il perché tale
concetto debba essere scelto come giusto o sbagliato. Faccio un esempio: si sente sempre più parlare di anti-razzismo e viene sempre più abbracciato da una marea di persone in maniera incondizionata. Ciò fa correre il rischio che la questione diventi una presa di posizione sterile che porta anche a non considerare che l’individuo, sia esso bianco, nero o di qualsiasi altra etnia, possa essere “buono” o “cattivo”. Insomma, mi sembra che molti antirazzisti ragionino alla stregua del razzista stesso, per preconcetti: “io voglio bene al mio fratello nero perché è nero”, e non per il suo valore come singolo essere umano. Così con gli omosessuali e via dicendo. Come si fa a superare questo tipo di atteggiamento legato a sterili prese di posizione? Come si fa ad abbattere il muro che ci fa catalogare le persone per etnia, sesso, età, piuttosto che concentrarsi sui singoli individui, e restituendo all’individuo la propria unicità come soggetto, come essere umano e, prima di tutto, come pensiero e come pensatore?
Gesù santo! Non credi che per arrivare a considerare l'”altro” come tuo simile tout-court, ovvero individuo in quanto tale e basta, bisogna comunque liberarlo dalla prigionia dei nostri pre-concetti e pre-giudizi, i quali dominano il nostro immaginario collettivo? La lotta alla xenofobia e al razzismo è necessaria e imprescindibile. Parliamoci chiaro: c’è chi dice: no alla società multietnica, sì a quella identitaria nazionale. Io credo sia arrivato il momento di rovesciare questo ragionamento: facciamola finita con questa balla dell’identità nazionale, e affermiamo il valore della multietnicità, nel segno del multi-culturalismo e della cittadinanza globale, contro quella nazionale. Io sono felice d’esser nato italiano, perché sono nato in un “fortunato” fazzoletto di terra del pianeta: non per questo mi sento orgoglioso della mia italianità, perché l’Italia non è che un sottoinsieme dell’Europa e del Mondo: al Mondo, tutto intero, io sento d’appartenere. E poi: attenzione!: il razzismo è così spesso non “paura del diverso”, ma “paura del povero”. Noi non temiamo l’uomo nero, temiamo i poveri: i poveri chiedono, non danno. Temiamo l’esercizio del diritto di ognuno di vivere degnamente la propria vita, e per questo ci rinchiudiamo nel sentimento nazionale, nel segno del nostro più profondo e individualistico egoismo consumistico.
Parliamo ancora del rapporto fra la tua arte e la comunicazione. In una vecchia intervista ti chiesi, sempre riguardo al far arrivare il tuo messaggio a quanta più gente possibile, se avresti mai avuto intenzione di «provare a “piegare” la tua arte per far arrivare il messaggio a più gente», al che mi rispondesti «La musica, e le parole, de Il Teatro Degli Orrori arrivano alle masse, senza aver dovuto piegarle alle esigenze commerciali del mercato discografico». Oggi, in un’intervista, leggo della voluta commercialità de “Il Mondo Nuovo”: avevo ragione io quando ti posi quella domanda?
Non era che una provocazione, ad uso e consumo dei nostri detrattori. Il Teatro degli Orrori è un raro esempio in cui “commerciale” non coincide con “effimero”. Il Mondo Nuovo è un disco che presenta alcuni episodi più “facili” del solito, ma la cui bellezza è, per come la vedo io, fuori discussione. Questo disco rappresenta il punto massimo dell’evoluzione del suono e della poetica del gruppo. E non è finita qui.
Altro gap nella comunicazione è che spesso il messaggio viene percepito e condiviso solo da chi già la pensa in un determinato modo (o ci si avvicina): condividi in qualche modo questo mio pensiero? Non capisco… Certo che se il messaggio ha un senso, per esempio, profondamente democratico, il fascista militante non lo farà proprio, nella stessa misura in cui io stesso non farei mio il messaggio reazionario di un
neofascista leghista. Non credi? Penso che la nostra attenzione dovrebbe spostarsi sul “media”, il “mezzo”, che è “messaggio” esso stesso. Lo diceva Marshall McLuhan negli anni ’40: il media è il messaggio: al suo interno, ogni significato si perde nel caos dei significanti, fino a perdere il suo senso originario.
Ha fatto molto discutere il tuo abbandono di Facebook, che utilizzavi per comunicare i tuoi ideali. Volevo soffermarmi un attimo alla miriade di commenti ai tuoi post. Ormai hai raggiunto uno status mediale elevato, sei stato eletto ad icona. La maggior parte dei commenti che ho letto ai tuoi post erano o di totale approvazione o, al contrario, di sterile critica. Sorvolando sui secondi, il problema che ne deriva è, a mio avviso, ancora,
la totale accettazione passiva di un concetto solo perché proferito non dal Pierpaolo Capovilla uomo e pensatore ma dal Pierpaolo Capovilla icona, divinizzato. Ancora una volta i concetti (criticabili in positivo o in negativo) tramite il veicolo Pierpaolo Capovilla/icona/vate si trasformano in dogmi (processo che abbiamo avuto modo di vedere anche in certa sinistra e che ha portato probabilmente al fallimento di essa). Hai notato anche tu questo? E, se condividi questo mio pensiero, come credi si possa evitare ciò?
Benissimo. È proprio per questo che ho disattivato le mie pagine facebook: per sottrarmi a questo processo di divoramento della mia persona, tutto interno alla logica del mezzo/social-network. Noi usiamo il social-network un po’ come usavamo la TV: ci lasciamo etero-dirigere dal processo comunicativo, nell’illusione di esserne protagonisti. Bella conquista! Internet potrebbe essere una chance straordinaria di cultura, informazione e democrazia: l’abbiamo fatta diventare un ulteriore motivo di alienazione. Complimenti a tutti, anche e sopratutto a me stesso. Che schifo.
Un’altra questione che mi preoccupa è la divisione a cui sono soggette le masse. Da sempre chi ha detenuto il potere ha fatto di tutto per dividere la gente in modo che non ci fosse comunicazione e quindi presa di coscienza totale del popolo. Penso alle religioni ma anche al tifo da calcio fino all’attuale politica, la quale piuttosto che muovere dagli ideali si riassume in uno squadrismo assunto a priori. Una cosa triste è notare questi
atteggiamenti (evidentemente interiorizzati a livello inconscio) perpetrarsi anche in campo musicale e culturale. Esemplare è stato l’atteggiamento di certa sinistra intellettualoide che, dando vita a circoli elitari, non è riuscita (o non ha voluto) coinvolgere le masse. Questo discorso a mio avviso si riallaccia a quello dei messaggi assunti in modo passivo: si creano in questo modo schieramenti dove gli individui ne assumono i concetti ancora una volta in modo passivo. Si crea divisione nel popolo per poterlo più facilmente controllare, anche alla luce del fatto che, facendosi la guerra l’un
l’altro addossandosi colpe pressoché inesistenti, gli individui distolgono l’attenzione dalle problematiche reali. Ad esempio (esempio molto semplicistico), diamo la colpa all’extracomunitario che ci “ruba” il lavoro senza pensare che chi è in realtà a rubarcelo sono le grandi aziende, che, tramite la propaganda avallata anche dai partiti, fanno arrivare come messaggio l’idea che sia appunto colpa degli extracomunitari. Come si esce fuori da queste logiche?
Ritrovandoci nelle vie, nelle piazze, nelle agorà reali. Riscoprendo il piacere della cittadinanza attiva, e respingendo i nostri egoismi narcisistici. Lo possiamo fare attraverso la cultura: l’arte, la narrazione, la poesia, possono emanciparci dallo stato di cose in cui vengono costrette le nostre vite.
Per riassumere un po’ tutto il discorso, a mio avviso tutto ciò accade per il fatto che c’è una fondamentale carenza di cultura: ma cosa avviene quando anche concetti culturali vengono assunti in modo passivo senza analizzarli a fondo? Penso a chi cita con troppa semplicità Che Guevara o Pasolini.
Mio caro amico, il nostro problema si chiama “pigrizia culturale”. Oggi informazione e cultura sono a portata di clic: è sufficiente aver voglia di approfondire: bandire la fretta e la compulsività relazionale, e riscoprire con tutta calma il desiderio di analizzare le cose della vita attraverso l’approfondimento culturale. Faccio un esempio.
Sento una canzone degli Arcade Fire che mi piace. La scarico dal web, la riascolto. Poi cerco in rete il testo: mi avvalgo della stessa rete per tradurlo. Alla fine di questo semplice processo di acquisizione, mi accorgo che i miei occhi piangono piccole ma dolcissime lacrime di commozione: ho scoperto una poesia. Lo sai perché gli Arcade Fire sono tanto amati nel mondo? Perché chi sa l’inglese, ne comprende i testi delle canzoni, i quali offrono tanto amore e tanto dolore, da farti innamorare in un battibaleno. La poesia suona le corde dei nostri cuori, ma per l’amore, ci vuole tempo, dedizione, desiderio
Leggiamo sempre più spesso dichiarazioni criminali e criminogene che a chi ha un po’ di buon senso dovrebbero quanto meno risultare sgradevoli. Il problema è che spesso a queste provocazioni si risponde con disprezzo alimentando il clima di odio. Ancora un esempio: la Santachè che scrive su Twitter “Gli uomini delle forze dell’ordine anche se sbagliano non sono mai assassini” e un lettore che risponde “sei tu n’assassina…dell’umana intelligenza. ZOCCOLA POMPINARA”. E via dicendo. Mi viene sempre più da pensare che queste provocazioni siano concepite appunto per incrementare questo sistema di escalation delle tensioni, che, ancora una volta, concorre ad alimentare l’impossibilità di cambiamento: non sarebbe meglio non dico lasciarle passare inosservate ma provare almeno a rispondere pacatamente motivando piuttosto che attaccando di contro come troppo spesso accade?
Ritorniamo al problema della fretta e della compulsività, che è interamente interno al mezzo di comunicazione stesso. Liberiamoci del mezzo. Disattiviamo facebook, e accendiamo wikipedia. Diciamolo ai nostri figli: un buon libro, possibilmente un classico, al posto di ore ed ore passate ad ingannare noi stessi con twitter.
“Cultura” è tutto ciò che modifica la tua percezione delle cose. Anche uno sketch comico è “cultura”, per il bagaglio inconscio che porta con sé. Penso al messaggio svilente dei Vanzina, che concorre a creare una massa ignorante e sessualmente repressa, o a quello di Maccio Capatonda, a mio avviso uno degli intellettuali (poco capito questo suo aspetto) attuali: cosa ne pensi, invece, de I Soliti Idioti? Su Facebook ebbi un’aspra discussione con Giulio “Ragno” Favero riguardante questo duo “comico” molto apprezzato in giro.
Non guardo la TV. Non so chi siano.
Alla luce di quanto detto fino ad ora, uno degli errori più grandi che i “rivoluzionari” attuali (e non) commettono, a mio avviso, è il non tenere in considerazione le ripercussioni legate alle proprie azioni: se il potere ha saputo rinnovarsi (ascoltiamoci un po’ “Storia Di Un Impiegato”) gli atteggiamenti di chi (tenta) di combattere il potere no. Il potere, in pratica, ha saputo e sa strumentalizzare a proprio uso (ed abuso) gli stessi messaggi che gli vengono mossi contro, trasformandoli (agli occhi delle masse,
impigrite da secoli di impoverimento culturale che ne ha assottigliato il potere decisionale e critico) in armi da usare proprio contro la “causa”.
L’esempio mi pare, a questo punto, d’obbligo: l’uso della violenza nelle manifestazioni (sia essa effettivamente usata dai manifestanti o da forze dell’ordine infiltrate pronte a fomentarla) diventa motivo per svilirne le ragioni. Come si fa a combattere anche quest’altro tipo di problematiche?
Secoli? Non direi: la società italiana ha conosciuto la sua peggiore involuzione antropologica negli ultimi trent’anni. Possiamo ricostruire. La violenza fa parte della vita, ed è di tre tipi: soggettiva (quella fra me e te, o fra uno sbirro e un cittadino); oggettiva (la violenza sistemica, quella che mi costringe a menar bulloni in fabbrica per dieci ore al giorno); simbolica (la violenza dei media). Vedi “La Violenza Invisibile”, di quel genio
filosofico di Slavoj Zizek. Quale delle tre ti sembra la peggiore? I media dipingono la violenza di piazza come la peggiore e la più inaccettabile: io non sono per niente d’accordo. Mi sorge spontanea un’altra considerazione: sono convinto che la violenza che emerge nella società civile italiana, sia l’inevitabile risposta alla tanta, troppa, ed avvilente violenza espressa dalle forze dell’ordine negli ultimi anni: si tratta di una violenza “politica”, dettata dall’odio verso i cittadini. C’è un serissimo problema di educazione alla democrazia all’interno delle forze dell’ordine di questo paese: questo
problema si è palesato in modo inequivocabile a Genova nel 2001, e si palesa ogni qual volta un inerme cittadino viene percosso a morte da uomini, e a volte donne, in divisa. A due passi da casa mia, a Venezia, c’è un ufficio di polizia; ci sono stato pochi giorni or sono per rinnovare il passaporto: vi ho trovato un antico messaggio pubblicistico, degli anni sessanta forse, nel bel mezzo della stanza: “in un paese democratico, lapolizia è al servizio dei cittadini”. … Non è più così. Forse non lo è mai stato. È giunto il momento di pretendere rispetto, altroché.
Stiamo parlando un sacco di potere: ma chi detiene oggi il potere? Secondo le grandi masse il potere è nella politica, nei partiti e nella magistratura (a loro avviso politicizzata anche essa). È realistica questa visione?
No. Non lo è. In ultima istanza, oggi il potere è detenuto dai soggetti finanziari, che dominano l’economia del mondo, e con essa le nostre stesse esistenze. I partiti nulla possono in questo processo di esercizio del potere. La magistratura è per definizione un contro-potere, la cui funzione è non soltanto garantire il rispetto delle leggi vigenti, ma contro-bilanciare il potere della politica. Cambiare questo stato di cose è compito della società civile, non di quella politica.
Il potere è quindi in mano all’economia. Com’è possibile che accada questo, che sia l’economia a muovere le decisioni politiche, quando dovrebbe in realtà essere, al contrario, la politica (giusto per ricordarlo, espressione democratica del voto della gente, per chi ci crede ancora) a muovere l’economia?
Ma mio caro, viviamo nel sistema capitalistico, non in un socialismo! Lenin definiva il parlamento delle democrazie “comitato d’affari della borghesia”.
A questo punto, tirando le somme su quanto detto fino ad ora e cercando di essere quanto più realistici possibile, come si fa a combattere questo sistema cercando di arrivare alle masse, quindi evitando la creazione di fazioni che le dividano, evitando che possano nascere messaggi e situazioni strumentalizzabili, evitando che si creino movimenti dogmatici, ecc?
Non ne ho la più pallida idea. Nel frattempo, cerco di vivere la mia vita nel modo più degno possibile: combatto per i miei valori, primo fra tutti la fratellanza.
Omaggi Pasolini. Una delle frasi che più mi ha sempre colpito di Pasolini, data la mia indole pessimistica (o dovrei dire “realistica”?), è “la parola speranza è cancellata completamente dal mio vocabolario”, quando si riferiva appunto all’impossibilità di un cambiamento dovuta soprattutto a questa “fallacia della comunicazione”: tu come ti poni di fronte a questo tipo di dichiarazione?
Ti rispondo con Carmelo Bene: “La speranza è tanta, che non mi basta più, ma è tale che m’avanza, come musica, la vita”.
Autore: Giuseppe Galato
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