“Si, ma quale gusto, se sto perdendo fiducia e stimoli.” A ragion veduta, un gruppo che ha deciso di ricominciare. Ricominciare dalla rabbia, innanzitutto; un sentimento esposto in modo particolarmente limpido nel folgorante pezzo iniziale, ma che diventa leit motive anche di episodi seguenti, assumendo di volta in volta varie sembianze: dall’invettiva (“A chi Succhia”) all’invocazione (“Amen”) .
Questa nuova vesta espressiva è ancor più evidentemente segnata dalla scelte personali , arrivi ed abbandoni, che hanno portato nuovi punti di vista all’interno del gruppo. Quello di Gianni Maroccolo al basso innanzitutto, a portare esperienza e musicalità dopo l’addio al gruppo di Dan Solo, loro bassista storico, al contributo di Giorgio Canali a curare la produzione delle voci; si fregiano inoltre per la seconda volta del supporto di Rob Ellis per quanto concerne gli arrangiamenti di tastiere e archi. La produzione, invece, questa volta è curata dai Marlene stessi.
La risultante è un suono rinnovato. Più asciutto. Non dolce come quello di “Senza Peso”, non furente e destrutturato come quello dei lavori ancora precedenti. Un suono in compenso più maturo, compatto e determinato come mai nell’incollarsi alle parole, procedendo a queste appaiato, fino a toglierle il respiro.
Questo senso di asfissia viene rotto solo episodicamente da alcuni bagliori, brani dotati di un senso della melodia maggiormente espresso: in “Bellezza”, primo singolo dell’album, con un desolato violino che rimanda alla musica dei Dirty Three e un ritornello che è quasi un manifesto delle scelte espressive di Godano e soci, caratterizzate da una perenne speculazione estetizzante: “Noi cerchiamo la bellezza/ovunque”. Ed in “Poeti”, in cui l’artista si diverte a giocare in seduzione con una ammiratrice, sulla strada già tracciata in altro senso da Guido Gozzano nei Colloqui.
Il fuoco di questa musica non si risolve mai in se stesso. Non rinunciano alla cattiveria, le chitarre graffiano solo quando serve ed il loro stile non si priva di impennate rock più viscerale, ma in modo più parco. Il fuoco della musica, questa volta più che mai, sono i testi, affidati come sempre alla lucida voce di Cristiano Godano. Una voce che si modifica, meno urlata e più sontuosa.
E questi si pongono domande, importanti e croniche, obiettivamente difficili da adattare in forma canzone. Imbarazzo testimoniato dall’evidente incompletezza di alcuni brani. Oltre che dalla tendenza che le canzoni manifestano, ad appiattirsi quasi tutte sulla stessa struttura, rinunciando in buona parte a quelle ambizioni di innovazione strutturale che non erano mancate prima.
Sono le domande a restare. Restano gli interrogativi ed il coraggio nel porseli. La lucidità di fare l’analisi del dolore in un album di canzoni.
Autore: PasQuale Napolitano