Dopo aver ‘fatto sperare’ che fossero i nuovi Clash venuti dall’Africa, i maliani Songhoy Blues, con questo loro quarto disco, virano verso sonorità più tradizionali. Scordatevi quindi le chitarre rock e dirompenti dei lavori precedenti e immergetevi nelle sonorità della tradizione del loro Paese. Costretti a vivere a Bamako, la capitale maliana, e impossibilitati a ritornare nelle loro case a causa dell’imperversare di una guerriglia fondamentalista che considera la musica un peccato contro Dio, per “Heritage” si sono affidati alla produzione di Paul Chandler. Invece di strumenti elettrici, hanno utilizzato prevalentemente strumenti tradizionali: kora, kamalengoni, soku, flauto, xilofono e varie percussioni. Garba Touré, inoltre, suona la chitarra solista con un fingerpicking complesso, raffinato ed evocativo.
L’uso di questi strumenti è dettato dall’intenzione del quartetto di dedicarsi alla tradizione del loro Paese e di non seguire l’ondata del desert-blues. I brani, tutti molto ritmati e verbosi, si caratterizzano per il folk circolare di “Gara”, per il tradizionale africano di “Toukambela”, per l’eccitante e intrigante ballata di “Boutiki” e per le chitarre da frontiera dilatate, dietro quelle ritmiche di “Boroterey”. Tuttavia, c’è un po’ di chitarra elettrica in “Issa”, dove viene arpeggiata e usata in modo ritmico, e in “Batto”. Un bel lavoro in cui i Songhoy Blues, a modo loro, riportano tutto a casa.
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