«Ferdinando vive in Spagna, nel Sud della penisola iberica. Ama i fiori e starsene tranquillo e in pace nella natura. Non gli piace azzuffarsi. Insomma non è proprio un tipo “muscolare”, tutto testosterone ed esaltazione della virilità. Sta crescendo e il fatto che a lui interessino soprattutto i fiori ora costituisce un problema e non soltanto perché i suoi compagni lo “bullizzano”. Del resto, sono tori e anche Ferdinando lo è» di Michela Aprea.
Ferdinando vive in Spagna, nel Sud della penisola iberica. Ama i fiori e starsene tranquillo e in pace nella natura. Non gli piace azzuffarsi. Insomma non è proprio un tipo “muscolare”, tutto testosterone ed esaltazione della virilità. Sta crescendo e il fatto che a lui interessino soprattutto i fiori ora costituisce un problema e non soltanto perché i suoi compagni lo “bullizzano”. Del resto, sono tori e anche Ferdinando lo è E il destino di un toro della Spagna del Sud è uno solo: Madrid con la sua celebre Plaza de Toros de Las Ventas e, ovviamente, la corrida. Non c’è altra strada. O meglio, nella rivisitazione di Carlos Saldanha (autore, tra gli altri, di due capolavori della CGI, “Rio” e “L’Era glaciale”) ce ne sono sicuramente almeno altre due: il mattatoio, oppure la felicità. Che destino toccherà a Ferdinando? Non di certo quello del padre, possente proprio come lui, ma non abbastanza per tornare alla casa dei tori. “Il toro non vince mai”, Ferdinando lo sa bene e lo ripete, purtroppo inascoltato, ai suoi compagni. Quelli però sono offuscati dalla sete, di gloria e di successo, dalla necessità di apparire forti, coraggiosi, sprezzanti del pericolo. Ferdinando no, è diverso.
Almeno quanto il rifacimento dei Blue Sky Studios, distribuito dalla 20th Century Fox, del celebre successo targato Disney del 1938, vincitore l’anno successivo dell’Oscar per il miglior cortometraggio di animazione. Quella era l’epoca della Golden Age degli Studios Disney e i “9 old man” erano in forma smagliante. Il loro Ferdinando, animato da due mostri sacri come Ward Kimball e Milt Kahl, era un bignami del Disney-pensiero: un coacervo di maschilismo e buonismo spennellato con gag spesso gratuite e fuori luogo. La chiamano la magia Disney e di certo ha incantato generazioni su generazioni. Così “La storia di Ferdinando” di Munro Leaf, la breve fiaba illustrata da Robert Lawson che fu pubblicata nel 1936 e immediatamente messa al bando dai regimi totalitari dell’epoca, perché antimilitarista e libertaria (quello di Ferdinando è un inno all’autodeterminazione e alla libertà), che incantò personaggi come Thomas Mann, H. G. Wells, Gandhi, e Franklin ed Eleanor Roosevelt, diventando tanto popolare da finire al bando per decenni nella Spagna franchista ed essere bruciata dai nazisti; nella versione Disney divenne un torello senza nerbo, tutto concentrato sulla propria passione per i fiori, protetto da una madre, continuamente e tendenziosamente chiamata “Vacca!”.
Diversa, ma non meno lontana dallo spirito originario, la versione targata “Saldanha”, dove, scomparsa la madre per essere sostituita da un più virile padre (oltre che dalla dolce Nina e da Lupe, una capra “calmante”), Ferdinando assume le fattezze del wrestler John Cena e la sua storia diventa una parabola adolescenziale tutta incentrata esclusivamente sulle insicurezze di un torello che si sta avviando verso la maturità e su preoccupazioni molto “teen” quali l’aspetto, le aspettative, le inclinazioni.
Del resto, è proprio Ferdinando a ribadirlo: “Sembra che la gente, appena nasci, abbia già capito tutto di te, in base al tuo aspetto, a come parli, alle tue origini, ma…non è così semplice; soprattutto se si tratta di me: io sono un tantino…più complesso. Io sono Ferdinand! Mi guardi e pensi “grosso, spaventoso, menomale che non è in un negozio di porcellane”.
Così, a distanza di ottant’anni, il Blue Sky Studios completa l’opera di inglobamento disneyana privando definitivamente il film degli elementi politici che avevano caratterizzato il racconto di Munro Leaf per farne un prodotto finalmente adatto ai tempi moderni.
Cosa resta allora della favola pacifista, non violenta e libertaria? Un’accozzaglia di gag riuscitissime, intrise di momenti elegiaci e spumosi pieni di dolcezza e del più astuto buonismo in salsa “stars and stripes”.
Insomma, un prodotto perfetto per la famiglia media globale (solo in Italia ha guadagnato in appena quattro settimane più di 5,7 milioni di euro), ottimo per il Natale, incapace di scontentare chi non ha la minima cognizione dell’esistenza di un racconto per bambini capace, un tempo, di preoccupare due dei volti più oscuri del novecento: Adolf Hitler e Franzisco Franco.