Al secondo disco in carriera, il duo italiano formato da Enrico Marani (Le Forbici di Manitù) e Fabrizio Tavernelli (ex Afa)– dedito ad un’elettronica d’avanguardia non cantata, piuttosto recitata – prosegue nell’approfondimento di nuovi linguaggi adatti a valorizzare la comunicazione interpersonale e la rappresentazione della realtà in tutta la sua moderna complessità, senza semplificazioni o banalizzazioni. Ecco dunque il ricorso al multilinguismo, con vari ospiti che intervengono recitando spesso i loro stessi testi in inglese, francese, slavo, italiano ed… esperanto: si, proprio la lingua cui fa riferimento il titolo del disco, creata a tavolino circa 30 anni fa come possibile nuova lingua europea, e che – fortunatamente per gli studenti delle scuole – non ha mai preso piede. Più che una lingua morta, una lingua nata morta, dunque!
Il disco dura ben 72 minuti – decisamente troppi, soprattutto per un contenuto sonoro così meditativo – e s’avvale di una lunga lista di ospiti, che contribuiscono in misura varia: c’è Massimo Zamboni (CCCP, CSI) che legge un brano del poema di S.T.Coleridge sul “Vecchio Marinaio”, e poi Aristide Leonetti, che addirittura vanta d’aver studiato musica con i due fondamentali esponenti dell’avanguardia del 900 Berio e Maderna, che dà il suo apporto con nastri e fruscii; e poi lettori stranieri e musicisti elettronici come l’americano Tim Matzer ed il giapponese Kenko Oshi.
La musica di Tavernelli e Marani non cerca soluzioni ad effetto, piuttosto procede sicura su lenti beat regolari e drones arcinoti, prendendo a modello più l’avanguardia colta: in pratica la musica classica del 900: Cage, Berio, ed in parte l’elettronica psichedelica moderna: tipo Black Bondage, Per Grazia Ricevuta, Aphex Twin. Così ‘Esperanto’ scorre provocatorio e profondo ma anche piatto ed estenuante, non riuscendo fino in fondo a farsi digerire anche per scarsezza di creatività.
Non bastano i due singoli pop – ‘September’ ed ‘Esperanto’, peraltro pure piacevoli – a facilitare l’ascolto, ed anzi, gli stessi appaiono equivoci in un disco così colto e pretenzioso.
Autore: Fausto Turi