Partiamo da una nota di colore. Vedendo le foto recenti del sessantunenne songwriter inglese, appare evidente che anche il nostro sia, ultimamente, ricorso alla chirurgia estetica. Una prassi legata al cognome Jackson? Scherzi a parte, ciò mi ha fatto un certo effetto. Il perché è presto detto. Nella sua lunga carriera Joe Jackson si è dimostrato, oltre che un valente musicista, pure un attento ed ironico castigatore dei mali della società che lo circondava. Cadere nel più effimero dei controsensi mi è apparso alquanto discutibile. Un peccato veniale? Eppure mi è tornata alla mente la recente polemica nei confronti di Giovanni Lindo Ferretti. E’ giusto biasimare gli artisti se quello che cantano non coincide con i loro comportamenti privati? Mah, in fondo, vanno giudicati per l’arte che propugnano, in molti diranno. E così sia, allora… Meglio concentrasi, quindi, sul suo nuovo album Fast Forward. Registrato in giro per il mondo, tra New York, Amsterdam, Berlino e New Orleans, dove, in ogni città, il nostro ha collaborato con colleghi diversi, il disco rappresenta una buona summa di quanto il buon Joe ha musicalmente seminato negli anni. Non che il cantautore britannico, in carriera, sia mai stato un innovatore tout-court ma la sua perizia nella composizione e la vis spesso sarcastica nelle liriche, ne hanno fatto una delle figure di riferimento di certo poliedrico pop-rock anni 80’. Un’apertura mentale a 360° che lo ha spinto a confrontarsi con i generi più disparati, qui rappresentati, ad esempio, dalla rilettura del vaudeville crucco Good Bye Jonny (l’altra è la cover di See No Evil dei Television), dalla ballata sentimentale (con tanto di archi) Far Away, dalla jazzata So You Say e l’accidiosa Junkie Diva. Una manciata di belle canzoni suonate con la solita classe. Una leggera sfoltita dei brani in scaletta (specie alcuni della parte finale dei 16 presenti) sarebbe stata gradita. Hey Joe, ti rifarai a pieno la prossima volta…
autore: LucaMauroAssante