A due anni dalla scomprasa di Mark Lanegan, la Beggars Banquet attraverso la sua sezione Beggars Arkive, in collaborazione con l’Estate of Mark Lanegan celebrano il 20° anniversario di Bubblegum, sesto album da solista dell’ex Screaming Trees. Il disco esce in vari formati e include l’EP espanso del 2003 “Here Comes That Weird Chill (Methamphetamine Blues, Extras & Oddities)”, un disco di 13 tracce Unreleased Songs & Demos e (nel cofanetto di 4LP) un libro di 64 pagine con copertina rigida che contiene saggi commemorativi di confratelli come Greg Dulli, Josh Homme, Alain Johannes e Troy Van Leeuwen. Pubblicato sotto il nome di Mark Lanegan Band co-prodotto con Alain Johannes degli Eleven e Chris Goss dei Masters Of Reality, che insieme a lui facevano parte all’epoca della migliore formazione dei Queens Of The Stone Age di Josh Homme e Nick Olivieri.
Nel suo libro “I Am The Wolf”, Lanegan ha raccontato la genesi di Bubblegum: “Ero stato sveglio per giorni e notti, impazzito a causa dell’assenza di sonno e di stimolanti illegali. Mentre in passato ero stato fuori di testa a fare dischi, questo era un nuovo picco… o un nuovo minimo, a seconda della prospettiva”.
Il disco arrivava a suggellare il periodo più qualitativamente prolifico della prima fase della sua carriera da solista, inaugurata quando ancora era colonna portante dei Trees, con album intrisi di blues come “The Winding Sheet” (1993) e “Whiskey For The Holy Ghost” (1996) e che verranno sublimati nei successivi album realizzati dopo lo scioglimento della band con i fratelli Conner. “Scraps At Midnight” (1998), insieme al magnifico album di covers “I’ll Take Care Of You” (1999) che lo consacra come grande interprete, unito a quel capolavoro di roots rock in chiave grunge che è “Field Songs”.
Ma prima di tuffarsi nella relazione artistica con l’ex Belle & Sebastian, Isobel Campbell, che frutterà altri tre ottimi album, preludio a future disparate e dispersive collaborazioni, c’è tempo per mettere a segno questo pezzo da novanta che è Bubblegum, che racchiude tutte le versioni, passate, presenti e future del Lanegan artista tormentato dai suoi demoni.
Nonostante il processo tortuoso di realizzazione dell’album che mostra anche chiaramente l’influenza dei Queens Of The Stone Age, i cui Homme, Johannes e Van Leeuwen apportano tutti un contributo importante, tuttavia, l’io tenebroso al centro di Bubblegum emerge sempre chiaramente, attraverso un ritratto che è un mix di narrazione in prima persona, alternati a potenti metafore e immagini nitide, che si innestano su uno sfondo di blues tormentato, alt.rock carico, country e grunge, punteggiato anche di psichedelia.
Bubblegum si apre con la dolorosa “When Your Number Isn’t Up”: un ritratto crudo della tossicodipendenza e dell’inferno singolare sopportato da chi si trova sul filo del rasoio tra la vita e la morte, oltre che traboccare di senso di colpa e dolore per Kurt Cobain, di cui era non solo amico fidato ma anche pusher sempre disponibile come si legge nella durissima autobiografia di Lanegan, “Sing Backwards and Weep”, che ci restituisce un’immagine altamente disturbante del nostro eroe.
Subito dopo arriva “Hit The City”, la cosa più vicina che si possa immaginare ad una hit da classifica scritta da Lanegan che duetta a meraviglia con PJ Harvey.
“Bubblegum” non mostra cadute di tono, non c’è nessun brano debole, dal malinconico ma convincente “Wedding Dress”, che fa riferimento a Lee Hazlewood, al completo delirio spietato di “Methamphetamine Blues”, passando per il gospel psichedelico di “Strange Religion” che racconta mirabilmente la fine di una relazione e che anni dopo troveremo addirittura ripresa in un album di Dave Gahan dei Depeche Mode inciso insieme ai Soulsavers, che di Lanegan avevano già riletto la splendida “Kingdoms of Rain”.
Nella struggente e languida “One Hundred Days”, Lanegan si mostra nella duplice veste sia dell’ottimista che spera in ciò che il futuro potrebbe riservargli, sia nel realista che sa che non fa per lui.
A fare da spartiacque arriva “Sideways In Reverse”, una carica punk-pop trash incentrata sulla compulsione e sulle decisioni sbagliate, che è gemella dello squillo a pedale di “Driving Death Valley Blues”, dove Lanegan è al volante, spinto dalla dipendenza sia dall’amore che dalla “medicina”. Tocca poi al secondo duetto con PJ Harvey “Come to Me” riportare il disco in un’atmosfera più intima prima che “Like Little Willie John”, riporti l’ex-Screaming Trees nel ruolo a lui più congeniale di storyteller di frontiera, creando una ballata folk dalle atmosfere senza tempo, mentre un brano come “Can’t Come Down” anticipa sonorità che ascolteremo in “Phantom Radio” (2014).
In questa nuova versione “Bubblegum” beneficia della rimasterizzazione operata da Geoff Pesche nei gloriosi studi di Abbey Road.
“Mark stava facendo delle demo per un nuovo album e gli era stato prenotato di registrare ad Abbey Road. Era un suo sogno di lunga data registrare nel leggendario studio londinese, ma poiché non ne ha mai avuto la possibilità, è un caso che la rimasterizzazione per questa pubblicazione sia avvenuta lì, ad opera di Geoff Pesche”, scrive la Beggars nel presentare il disco.
Oltre al disco originale in “Bubblegum XX” trova spazio l’EP “Here Comes That Weird Chill…”, registrato contemporaneamente a Bubblegum e pubblicato l’anno precedente. L’EP vede Greg Dulli e Dean Ween unirsi ai tanti musicisti che hanno contribuito a realizzare il disco, e mette in luce tra gli altri brani come la frammentaria e quasi allucinata “On The Steps Of The Cathedral”, una cover di “Clear Spot” di Captain Beefheart, il desert-rock di “Skeletal History”e, in questa nuova versione, l’aggiunta di tre bonus track: “Sympathy”, precedentemente disponibile solo sull’antologia “Has God Seen My Shadow?” e i due flip di “Hit The City”, “Mud Pink Skag” e “Mirrored”.
Il primo è uno stomp rauco con un filo di Stones, l’altro è una versione alla Cash sugli errori di percezione dell’amore, per chitarra acustica fingerpicked e voce microfonica.
A rendere interessante l’operazione di ristampa è il disco d’inediti “Unreleased Songs and Demos”. Un disco contiene sette outtake dalle sessioni originali più una mezza dozzina di brani che Leeuwen ha registrato con Lanegan in varie stanze d’albergo durante i tempi morti dei tour dei QOTSA in Giappone e Australia, nel febbraio 2003. Tra queste outtake spicca “Union Tombstone”, che ora presenta una nuova registrazione di Beck all’armonica.
Questa collaborazione faceva parte del piano originale di Lanegan, ma per varie ragioni logistiche all’epoca non andò in porto. In questo caso, grazie al reperimento dei brani a distanza di oltre 20 anni dalla loro stesura, si è posto rimedio a questa situazione. Le sessioni in albergo vedono Leeuwen suonare tutti gli strumenti, mentre la voce di Lanegan, priva di fronzoli, è al centro dell’attenzione.
I pezzi forti sono un’affascinante cover di “You Wild Colorado” di Johnny Cash (registrata per la prima volta), il folk appalachiano di “St James Infirmary” e la penultima “Little Willie John”, una formidabile versione ridotta di “Like Little Willie John” con la voce di Lanegan, ispessita e ancor più in evidenza.
In definitiva si tratta di un’operazione perfettamente riuscita che ci restituisce un Mark Lanegan al culmine della sua carriera solista che da lì in avanti si dipanerà in mille rivoli con tanti aspetti diversi ma che non raggiungeranno mai le vette toccate nei dischi compresi tra “The Winding Sheet” e “Bubblegum”.
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