I the Drums sono di New York – i due leader sono originari della Florida – sono giovanissimi, suonano rock, e da un paio di mesi sono sulla bocca di tutti. Del tipo: copertine dei giornali giusti, passaggi sulle canali musicali, jingle di spot pubblicitari… tutti li vogliono, eppure la loro musica è molto semplice, e non propone alcuna novità; è new wave imbronciata, solare surf californiano, una latente urgenza post punk tenuta sempre nel recinto del pop, e 12 canzoni virtualmente destinate ad essere tutte singoli di successo, accompagnati da videoclip girati sino ad ora in totale economia ma con buona creatività, mettendo in primo piano il cantante, già idolo dei teen-agers.
Jonathan Pierce (voce), Jacob Graham (chitarra), Adam Kessler (basso) e Connor Hanwick (batteria) amano la musica britannica, e si sente; Joy Division e Cure sono due influenze pesanti in questo disco omonimo, e come se non bastasse scopriamo sul loro myspace che gli Smiths sono tra le loro band preferite di sempre, malgrado questo elemento sia più latente, nella musica. Che colpisce, appunto, per la semplicità – talvolta solo apparente, certo – di brani per chitarra, basso e batteria che accompagnano una voce marpiona e generazionale, che fa pensare a Ian Brown (Stone Roses) e Lee Mavers (La’s), e dunque si, certo: siamo spesso in odore di brit pop, ad esempio in un brano come la dolce e ripetitiva ‘We Tried’, o in ‘Skipping Town’, e ‘I’ll never Drop my Sword’, suonata con una chitarra elettrica leggermente scordata, che dona tanta verità.
La batteria dal suono ipnotico e sintetico di Connor Hanwick, unita alla chitarra jingle-jangle di Jacob Graham, che riprende l’idea cinetica di Robert Smith nei primi album dei Cure, determina il marchio sonoro dei Drums, molto emotivo, vero, coinvolgente come la prima generazione wave di inizio anni 80, U2 compresi, perché no.
Fin qui il lato oscuro, indolente e “londinese”; l’altro aspetto della band è invece la voglia di misurarsi con le calde temperature californiane, con gli anni 60, le chitarre surf twang, i cori a più voci, e qualche arrangiamento più curato, nello stile di Brian Wilson (Beach Boys), o dei Last Shadow Puppets, per restare in tema di giovanissimi, e qui le cose si complicano: con canzoni come ‘Let’s Go Surfing’, ‘Forever and ever Amen’ e ‘Book of Stories’ giungiamo infatti al nucleo della loro creatività,in cima, al pari livello di contemporanei di successo come Wavves e Morning Benders, o Vampire Weekend ed Xx.
L’urgenza mista all’indolenza, la rabbia e il divertimento, c’è tutto l’appeal giovanile, nella musica dei Drums, che ci convincono comunque soprattutto per quella chitarra affilatissima che non perde mai la rotta, e va sempre dritto al sodo.
Difficile prevedere a cosa vada incontro un gruppo così fortemente ostaggio dell’hype già dall’esordio: probabilmente per mantenere il successo subiranno la tentazione della via più sicura: ripetersi… ma per convincere tutti sarà invece necessario rinnovarsi in futuro da capo a piedi, e sviluppare di più i propri punti di forza, cosa ad esempio, negli ultimi anni, non riuscita ai concittadini Strokes, per citare un fenomeno simile.
Gruppo che continuerà a far parlare di sé, i Drums, e destinato ad essere infinitamente clonato, nei prossimi mesi, da tanti loro coetanei esordienti a corto di idee, temiamo.
Autore: Fausto Turi