Lo inserisci nella bocca dello stereo ed è come fantasticare a zig zag mollemente abbandonati in sella ad un placido ronzino sulle curve sbilenche di una America capovolta di provincia assolata, fumata e sognante, di quelle che purtroppo splendono solamente su qualche T-shirt pacifista. Grande ritorno per i lombardi Pochet Chestnut con Big Sky Empty Road, ovvero la visione, il sogno e – diciamolo pure – l’allucinazione blasonata di un modo di concepire musica – la loro – come un trainspotting fatto in casa e proiettato sulle strade blu di un indie-folk isoscele e poeticamente off, con quel tocco rock quanto basta e un non so che di Okkervil River e Eels che si agitano stravaccati nel sottofondo.
Un’arte quella dei PC che vive senza debordamenti o personalità dall’ego sconquassato, ma quasi un fare “controvoglia”, sdogato dove prevale la semplicità e una perfetta simbiosi tra tempo dilatato e la fretta di non affrettarsi mai, dimostrando che con quel “andare piano” si va poi lontano, fino e oltre le proprie direttrici sognanti. Ballate, sospiri, notti di stelle al neon e la passione per un lo-fi cristallino perennemente di profilo ad un tramonto rosastro; tra i meriti riconosciuti alla band sicuramente quello di risultare – nell’underground – memorabili e dall’enorme credito e questo nuovo lavoro pone un ulteriore asterisco sulla loro strada artistica, e a dimostrazione di quanto affermato sopraggiungono gli armonici delicatissimi di The castway, il rock’n’roll con le traveggole Now*, la percussione e la chitarra storta che battono in Leave and love e la ballata sliddata Almost the end, piccola porzione di paradiso messa a ceralacca di un disco dalla infinite onde qualitative.
Fatevi un giro dentro questa delicata poesia in dieci episodi, il corpo dopo un tot vorrà riscendere, ma la testa questa non mi sento di garantirvelo, davvero. Altra eccellenza in transito!
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autore: Max Sannella