Abbiamo un dannato bisogno di afrobeat in Europa, questa è la verità; imbalsamati come siamo, non possono che farci bene le scosse al sistema nervoso ed ai freni inibitori che questa musica è in grado di dare a chi vi si esponga in maniera almeno minimamente recettiva magari in un live, occasione in cui di essa emerge il meglio, in termini di intensità.
Non staremo poi qui a dilungarci sui legami tra musica africana e caraibica, perchè dovremmo incominciare dalle tristi vicende dello schiavismo, fatto stà che questo progetto musicale è il frutto della ricerca di Anthony Joseph, scrittore, poeta, accademico e musicista con all’attivo diversi libri e sei tra EP ed LP, proveniente da Trinidad & Tobago e trasferitosi in Gran Bretagna nel 1989, e suonano un valido ed originale connubio di turgido afrobeat e sinuosi ritmi caraibici – la variante caraibica dell’afrobeat è detta “soca funk”, come lo stesso Joseph precisa dopo il secondo brano agli spettatori di Bremen – con immancabili arricchimenti funk, R&B e jazz afroamericani – ricordiamo che lo stesso Fela Kuti nei 60 perfezionò l’afrobeat proprio dopo una lunga permanenza negli Stati Uniti, dove entrò in contatto con il jazz ed il funk – che sembrano pescare tanto dalle poderose big band di Stan Getz quanto dagli Zawinul Syndacate.
Il live tedesco di questa band che pubblica per la sofisticata etichetta francese Naive e canta in lingua inglese presenta, in 78 minuti, un repertorio originale non diremmo nelle composizioni, nei ritmi o nei suoni, quanto piuttosto nello stile ordinato e professionale, abbastanza spurio da certi eccessi selvatici ingestibili di tante band analoghe che stiracchiano i propri temi musicali anche per mezz’ora, incartandosi completamente e mettendo a dura prova la pazienza del pragmatico ascoltatore occidentale. Ecco dunque ‘Speak the Name‘, ‘Cutlass‘ e ‘Bullets in the Rock‘, brani brevi che prendono nelle fasi iniziali l’indolenza tanto dal calypso quanto da certo spoken soul e hip hop urbano tipo Ani di Franco, per poi deragliare tutt’e tre i brani, negli ultimi minuti, in magistrali scontri tra sax, flauto e chitarrra elettrica degni dei Santana nel primo caso, di uno stile ai fiati che richiama Ornette Coleman nel secondo, e di entrambi nel terzo; oppure ‘Heavy‘ e ‘Started Off as a Dance‘, che sono puri afrobeat a piedi scalzi come anche ‘Griot‘, tra le vette del disco, che narra dei mitici musicisti cantastorie del Mali – lo stesso Joseph è soprannominato in Gran Bretagna “il griot creolo” – sancendo il legame col continente nero, ed è una sorpresa continua di trovate musicali.
‘Buddha‘ è un jazz d’avanguardia che ricorda Sun Ra e ancora Ornette Coleman, mentre sempre più si fanno notare le doti degli strumentisti della band ed il lavoro diviene per la verità poco accessibile per l’ascoltatore generalista ed impreparato al jazz; in questo senso la bella e vibrante jam intitolata ‘Bird Head Son’, di 13’20”, conquisterà gli intenditori e farà battere a gambe levate tutti gli altri.
Disco interessante anche per i dj, che possono divertirsi ad estrarre da questi brani una buona quantità di beat bell’e pronti per i loro campionamenti, e per gli amanti del blaxpoitation anni 70, come un po’ lascia intendere anche la copertina dell’album, dai colori saturati e sfocati nello stile dell’epoca d’oro della black music.
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autore: Fausto Turi