Balthazar, Editors e Sum41 il trittico internazionale d’apertura allo storico concerto dei Cure dello scorso 16 giugno, data indimenticabile per il Firenze Rocks.
Non poco il dissenso sulla scelta dell’apertura spettata ai Sum41, che hanno ben poco da spartire con il sound leggendario dei Cure, tanto lontani nonostante appartengano al “calderone-punk”, forse è questa l’unica nota dolente condivisa da molti dei 50mila spettatori accorsi a Firenze.
Il sole ancora alto all’orizzonte e una luna piena pronta a sorgere. Le prime note spettano a Shake Dog Shake che apre ufficialmente il concerto, si entra subito nel vivo, nessuna immersione graduale, ma un tuffo immediato.
Il richiamo del flauto prelude a Burn, storica colonna sonora de Il Corvo, le trame si infittiscono, uno dei brani simbolo si dissolve in From The Edge Of The Deep Green Sea.
Luci blu sul palco, Robert Smith di spalle al pubblico, la figura in penombra, i capelli scompigliati, il suo attorcigliarsi al microfono, l’aria leggera e il riff inconfondibile: Pictures of you, una magia si diffonde tra silenzio e incanto.
Gli anni non sono passati è ancora 1989 non ci siamo mossi di lì. Robert Smith non è cambiato nel corso dei tanti anni, le movenze, l’atteggiamento ed incredibilmente la voce uguale a sempre, senza sbavature e più intensa che mai.
La malinconia e quella sensazione di continua ricerca e fuga resta espressione ancora attuale, presente e viva mista ad una dolce leggerezza, diffusa dalle braccia spalancate al cielo di Smith, che abbandonano per un attimo la stretta alla chitarra, per accogliere la tanto amata Lovesong.
Una commistione di luci colorate, stride a contrasto con la tormentata Fascination Street, coreografica ed intensa. Push, Just like heaven, In Between Days sono solo alcuni dei brani che scuotono un euforico coro.
Immense nubi verdi, ci si addentra nella selva oscura. A Forest fa da apertura alle trame più dark e ci fa perdere nell’oscurità del fitto bosco, fino ad arrivare alla superba Lullaby, che continua a conservare quella assoluta unicità, che in modo sottile avvolge e divora il pubblico incapace di distogliersi.
The Walk, Close to Me, Friday I’m in Love con mille cuori sullo sfondo è un tuffo nella spensieratezza. Spetta a Boys Don’t Cry consolare il pubblico per la fine del concerto. Una pacca sulla spalla, tra bellezza e dispiacere conclude “But I just keep on laughing Hiding the tears in my eyes ‘Cause boys don’t cry”.
Salendo sul palco del Firenze Rocks, i Cure hanno aperto un nebbioso squarcio spazio-temporale, quando a fine anni Ottanta l’incertezza rappresentava un quadro sociopolitico disgregato, che la musica dall’aria malinconica e dissacrante rappresentava.
Il nesso con il periodo attuale rende forse questo più che un concerto, un riflesso.
La ricerca, la fuga, ma anche la spensieratezza, ci siamo immersi in un’epoca non troppo lontana, ma che ci appartiene e ci siamo ritrovati a tornare a casa con i capelli spettinati, pallidi alla luce della luna piena e con il rossetto rosso, appena sbavato.
autrice: Noemi Fico