Un lungo tour europeo riporta a Napoli Geoff Farina (nella foto a destra) storico leader dei bostoniani Karate, gruppo di punta di un certo post-rock di fine anni novanta. A questo giro Farina arriva in Italia con una nuova band, gli Exit/Verse e non perdiamo l’occasione per intervistarlo nuovamente. Incontriamo Geoff per una chiacchierata sulla sua ultima avventura musicale. Il cult-hero statunitense, figura di rilievo anche in formazioni come Secret Stars e Glorytellers nonché fautore di svariati progetti solistici e non, si è rivelato, al solito, interlocutore non banale, pronto a rispondere anche a domande che esulino dai soli fini promozionali. Questo è quanto emerso dal mostro incontro:
Raccontaci come sono nati gli Exit/Verse?
Circa 4 anni fa mi sono trasferito a Chicago e lì ho conosciuto Pete (Croke, il bassista della band, ndr.) durante il concerto di una band nella quale suonava insieme ad un mio amico batterista. In quella occasione Pete mi rivelò di essere un grande fan dei Karate. Mesi dopo lo contattai perché all’epoca mi piacque il suo modo di suonare e volevo formare un nuovo gruppo. Io e lui decidemmo di dare vita agli Exit/Verse in compagnia del batterista John Dugan con il quale abbiamo registrato il nostro omonimo album di debutto (uscito su Damnably nel 2014, ndr.). Essendo padre di due bambini piccoli, John non se la sentiva di venire con noi in tour , così contattammo un amico di Pete, Chris Dye, per prendere il suo posto.
E’ stato facile trovare la giusta alchimia musicale fra di voi?
In effetti proveniamo da background musicali abbastanza differenti e fra di noi c’è anche una certa differenza d’età. Alla fine, però, sia Pete che Chris si sono lasciati coinvolgere dalle canzoni che gli proponevo, uscendosene con grandi idee e belle parti strumentali
Nel vostro caso in che modo si è sviluppato il songwriting?
Solitamente quando concepisco un nuovo brano alle prove porto una linea vocale ed i riff di chitarra sui quali sto lavorando. Alcune volte ho già in mente le parti di basso e batteria, altre volte no. In molte delle canzoni che abbiamo composto c’è una leggera influenza legata al rock degli anni 60’ e 70’ mentre nei Karate avevamo un’attitudine abbastanza sperimentale. Credo che con gli Exit/Verse lo sviluppo delle partiture avvenga in maniera più naturale.
Sei tu quello che nella band si occupa di scrivere i testi?
Sì, come nei precedenti gruppi in cui sono stato, mi interesso io di questo aspetto. Per quanto riguarda le liriche degli Exit/Verse ho cercato di essere meno astratto rispetto a quanto avevo fatto nei Karate. Sai ormai ho 45 anni ed il mio modo di intendere la vita è cambiato rispetto a quando ero un ventenne. Al momento la sfida più interessante è quella di scrivere delle storie che raccontino il mio punto di vista. Non sono interessato a comporre delle heartbreak songs ma spesso ho voglia di esplorare argomenti politici e sociali riguardanti ciò che avviene intorno a me.
In definitiva ti piace scrivere di storie che abbiano un senso compiuto piuttosto che delle semplici linee vocali nonsense che accompagnino la musica…
Sono conscio che quasi tutti sono disinteressati ai testi tanto è vero che quasi mai mi fanno domande a riguardo…
Forse qui in Italia tendiamo a dare maggiore importanza a quest’aspetto…
Per la mia esperienza, le persone sono portate a non dare grossa importanza alle liriche. Anche nelle recensioni dei Karate o degli Exit/Verse è così. Nell’ultimo album mi sono dedicato come non mai ai testi, traendone più che altro una soddisfazione personale. Magari i nostri fan cercano di compenetrarsi in quello che racconto ma non credo le band indie rock più famose lo siano diventate grazie ai loro testi…
Nel corso della tua carriera hai formato almeno tre band, sei stato un solista e hai dato vita a svariate collaborazioni. Ci descriveresti il tuo percorso artistico e cosa ti ha spinto ad avere un’ispirazione così multiforme?
Nel 1993 ero molto giovane ed in quel periodo ho formato i Karate. L’esperienza con loro è durata fino al 2005. Dopodichè mi sono dedicato molto a suonare la chitarra acustica, cosa che tuttora faccio a Chicago, esplorando sonorità quali il vecchio country, il blues, il ragtime o facendo assoli di chitarra, durante concerti dove la gente spesso non conosce la mia carriera musicale. Mi piace anche molto sperimentare con la chitarra acustica. Quando mi sono trasferito a Chicago degli amici mi chiesero di entrar a far parte di questa specie di punk band. All’inizio ero titubante perché non suonavo la chitarra elettrica dal 2005 ma poi ho accettato e siamo rimasti insieme per circa sei mesi e devo dire la verità, mi sono divertito parecchio. In seguito alcuni dei componenti hanno lasciato il gruppo che poi si è definitivamente sciolto. A me, però, era tornata la voglia di suonare la chitarra elettrica e di scrivere canzoni così ho pensato di formare una nuova band e di riprendere a suonare cose più rock.
Hai esplorato vari generi musicali come post-rock, dream-pop, country-folk, folk-blues, free-jazz. Fra questi a quale ti senti più legato?
In alcune occasioni mi è capitato di metter su delle improvvisazioni di matrice free, legate soprattutto ai musicisti con cui suonavo. La maggior parte delle canzoni e della musica che scrivo non credo cambino molto a secondo del fatto che siano in acustico o in elettrico. Magari un pezzo in acustico rimanda più al folk. La struttura delle mie canzoni, le liriche, gli accordi, le melodie differiscono parecchio l’una con l’altra ma suppongo non abbiano una varietà di sound così spiccata. Mi piace il jazz, sono cresciuto ascoltandolo, l’ho anche studiato ma non posso definirmi un musicista jazz. Nei Karate, ad esempio, c’era qualche elemento jazz . Alla fine, tuttavia, nelle mie canzoni c’è un solo genere che prevale: il mio stile personale.
Da dove proviene il nome Exit/Verse?
Una volta ero a Bologna e stavo pensando a quale nome dare al gruppo. Quel giorno dovevo raggiungere Barcellona per un concerto. In aeroporto dovevo prendere un volo che poi è saltato perciò ne ho dovuto prendere un altro per il Portogallo e da lì un altro ancora per Barcellona. Durante il volo verso il Portogallo ci fu una turbolenza. Ero molto stanco e scocciato, avevo passato una giornata pazzesca in aeroporto e così mi ero messo a scrivere dei versi sul mio notebook. Dato che non mi ricordavo come si dicesse uscita in italiano e stavo scrivendo dei versi, mi venne in mente Exit/Verse. Non c’è nessun significato profondo dietro il nostro nome…
In che modo definiresti il sound del vostro disco?
Penso che abbia un’impostazione rock. Quando mi sono messo a scrivere i pezzi dell’album ho cercato di renderli più semplici rispetto a quello che facevo con i Karate, volevo che fossero divertenti da suonare e da portare in tour. Nei Karate magari capitava di dover provare parecchio alcuni brani che poi dal vivo non rendevano al meglio ed è un aspetto del quale devi sempre tener conto. Mentre i pezzi più semplici dei Karate era un piacere eseguirli live. Perciò ho tenuto molto presente questa considerazione, cercando di mantenere le composizioni sui tre minuti di durata e di raccontare una sola storia nei testi, magari suddivisa in due o tre parti. Durante il songwriting ho ascoltato punk anni 70’ oppure cose tipo Faces, Rolling Stones, Thin Lizzy, Led Zeppelin, roba con cui ero cresciuto da piccolo. Spero che anche noi diventeremo una buona rock band…
Hai superato i problemi d’udito di cui hai sofferto negli ultimi anni?
Li ho risolti ma uso degli speciali ear plugs che indosso perché essendo in una loud band non è consigliabile farne a meno. Non si può suonare questa tipo di musica a volumi bassi…
Parlando del tuo passato, invece, che mi dici dei Karate, la dobbiamo considerare un’esperienza ormai finita?
Negli States pare che tutti i gruppi di qualche anno fa vogliano tornare alla ribalta. Da questo punto di vista i Karate sono decisamente differenti… Scherzi a parte siamo ancora buoni amici, ci piace stare insieme. Il problema è che Gavin McCarthy (il batterista della band, ndr.) vive a Boston, io abito a Chicago mentre Jeff Goddard (il bassista, ndr.) risiede in Belgio. Non ne abbiamo più riparlato, ognuno di noi sta facendo altre cose. Una nostra reunion non è in programma.
Dal punto di vista di una indie band come la vostra ritieni che oggi giorno il web vi sia d’aiuto? E che ruolo svolge il web nei confronti dell’industria musicale visto che quasi nessuno più compra dischi? Pare che attualmente fare un disco sia una sorta di scusa per andare in tour e che registrare un album abbia perso di valore…
Penso che tu abbia ragione. Ognuno ha il suo modo di intendere la realizzazione di un disco. Dal mio punto di vista, essendo una piccola indie band, è diventato sempre più difficile vendere i nostri dischi. Sebbene cerchiamo di contenere molto i costi delle registrazioni, non guadagnamo e fare un album è come realizzare una sorta di gadget promozionale. Il rapporto con internet è strano. Intorno al 2000, quando andavamo a suonare in Polonia, ad esempio, tutto il pubblico conosceva le nostre canzoni a memoria ma i nostri dischi non venivano distribuiti lì, perciò parlando con la gente abbiamo capito che li avevano scaricati dal web… Quindi è una situazione ambivalente, buona da un lato ma cattiva dall’altro. Non capisco come i musicisti odierni riescano a far soldi grazie ad internet. Non ho mai twittato in vita mia. Forse le giovani band hanno un tipo di audience diversa. Sarà un fatto generazionale. La mia impostazione proviene dagli anni 90’ ed è basata sul concetto di andare in giro a suonare dal vivo e entrare in connessione con le persone che ti vengono a sentire… Tutto ciò è difficilmente riproducibile su web.
A questo punto, forse, sarebbe meglio far uscire un disco direttamente in digitale piuttosto che in cd ed in vinile…
Da noi si dice che non puoi rollare una canna su di un cd! In parte convengo con te. Ogni volta che pubblico un album, voglio che venga distribuito anche in vinile perché credo che i miei fan amino e comprino questo formato. Solitamente vediamo più lp che cd. Adesso realizzare un cd è più conveniente , è utile da mandare alle radio e costa meno. Nell’editoria , ad esempio, si pubblicano determinati libri in piccole quantità per un ristretta cerchia di appassionati e per le recensioni. Per il cd può valere la stessa cosa. Nel nostro caso cerchiamo di dargli un bel aspetto e di inserire i testi, ecc. La verità è che è difficile vendere dischi. E’ costoso, così come lo è organizzare un tour. L’unico modo di guadagnare è vendere i cd ai concerti. Ovviamente invito tutti a compare i nostri dischi!
Ultima domanda: programmi per il futuro?
Abbiamo delle canzoni nuove che suoneremo stasera che potrebbero essere parte del nuovo album. Non so quando uscirà, probabilmente entro un anno, la prossima primavera o qualcosa del genere. Ci stiamo lavorando parecchio. Per quanto mi riguarda, ho in progetto di continuare ad usare la chitarra acustica, cosa che mi diverte molto, ma dovrò avere il tempo di concentrarmi su quello, quindi ci vorrà ancora del tempo.
http://ernestjenning.com/band_exitverse.htm
https://www.facebook.com/ExitVerse
autore: LucaMauro Assante (in collaborazione con Luigi Oliviero)