Ricorderete tutti la sbornia anni duemila dovuta a quella particolare declinazione revivalistica della new-wave denominata in modo infame quanto efficace ‘punk-funk’.
Non so se voi vi siete divertiti ma per me fu un periodo musicalmente difficile; forse ero troppo in fissa con altri generi decisamente più intimisti ma facevo una fatica boia ad assimilare certe sonorità. A complicare ulteriormente le cose si mettevano anche i colleghi colti che citavano nomi storici che io ho sempre associato a contesti ideologici ben lontani da quanto mi trasmettevano questi beat.
I nomi erano quelli che conoscete bene anche voi: Gang Of Four e P.I.L., Talking Heads e Pop Group, insomma, grandi rivoluzionari concettuali e post-punk che spostarono la guerriglia psicologica contro la società dell’ovvio dalle barricate dell’underground ai dancefloors del Regno Unito e di New York.
Nobile operazione quella lì, segno dei tempi e dell’integrazione culturale molto prima di Cécile Kyenge.
E’ anche normale quindi che quando venti anni dopo son saltati fuori e quasi tutti insieme i Killers e The Faint, Franz Ferdinand e Bloc Party il sottoscritto abbia avuto una sorta di rifiuto. Perché chiamare le cose con nomi diversi? Ho sempre sostenuto che la dance in tempi di effimero rock ha spesso staccato – e di punti – l’effimero rock, ma perché vergognarsi allora di chiamarla ‘dance’? Che bisogno c’era di scomodare cotanta nobiltà ottantiana per due synth ed un basso? Ovvio che la generazione successiva di Hot Chip, LCD Soundsystem e tutta la DFA messa in colonna mi fosse molto – ma molto – più simpatica (e faceva innegabilmente strippare anche di più).
E finalmente vi siete guadagnati l’attualità di cui qui si vuole parlare. Ultima breve digressione ma parallela e speculare: l’avete sentito l’ultimo Bloc Party dell’anno scorso? No? Ve lo dico io: è un disco che non ha nulla a che vedere con quanto ci si poteva aspettare: è un disco rock! Ben fatto, ben prodotto, ben suonato (a qualcuno farà cagare quindi..), tipico prodotto mainstream degli anni duemila che non delude chi ascolta generalmente rock mainstream anni duemila (un nome su tutti, i Muse, ma non ho detto che sembrano i Muse) e che sfodera addirittura riff stoner-blues! E tutta quella menata sulla new-wave e sul punk-funk? Allora avevo ragione io tredici anni fa?
Ora che anche l’ultimo baluardo è caduto, parliamo dei modi e modi di cadere. Parliamo (finalmente) dei !!! (Chk Chk Chk ) e del loro ultimo Thr!!!er e di come la metamorfosi dance si sia felicemente compiuta. In realtà non si tratta di nessuna caduta nel loro caso poiché se evoluzione ci doveva essere questa era l’unica possibile per loro. ‘Mai vergognarsi di quello che si è’ si rivela sempre la formula vincente (oltre che una gran perla di saggezza).
Immagino Michael Jackson vivo che irrompe sul palco con la mano sulle pudenda costrette da pantaloni oro attillati mentre la band suda su One Girl/One Boy. Funk senza Punk, con i synth ed i cori femminili e tutto l’arredo dance che ci deve stare. Mondi che si sfiorano senza ipocrisie e dietrologie indie. Fine Fine Fine risente della lezione dei Franz Ferdinand e degli Hot Chip senza essere per forza gay-oriented (no vabbè un pochino lo è nei cori, ma non esiste un pezzo dance che funziona senza esserlo almeno un pò) e poi il finale è addirittura in sax melancholya mood. E Slyd la potete mixare addirittura con una Indeep giusto un pelo più terzomondista per la pacificazione definitiva di tutti gli ottanta possibili ed immaginabili. Mark Stewart potrà strillare o unirsi, faccia lui.
E bravi i !!! per averci risolto il dilemma di come riempire le playlist indieclubbing di quest’estate (qualunque traccia utilizzeremo da quest’album farà un figurone) ma soprattutto per aver definitivamente cancellato (o almeno spero) quell’irrisolto, quel contraddittorio musicale di inizio millennio: era solo dance music!!!
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autore: A.Giulio Magliulo