Questo lungo articolo/intervista dedicato ai Faust prende spunto dal concerto tenuto dalla storica band al Teatro Galleria Toledo di Napoli, il 5 aprile 2007. Alla recensione del concerto segue un breve “riassunto storico” e quindi l’intervista gentilmente concessaci da Jean-Hervé Peron.
Live report
La macchina da suono che ha fatto tappa a Napoli è (quantomeno) l’avatar di una delle più significative realtà del rock sperimentale di tutti i tempi, quella del collettivo Faust. Oscura compagine nata dai cocci delle avanguardie musicali tedesca, dalla Gesamtkunstwerk wagneriana al movimento elettronico di Klaus Schulze e Stockhausen, all’industrial. Sempre dediti alla sintesi degli opposti (corpo-macchina, chiaro-scuro, suono-rumore, gioia-terrore), sempre dalla parte sbagliata. Prototipo ed archetipo della musica kraut, non solo rock. L’elemento peculiare della loro musica, tale da caratterizzare tutta la loro produzione è il rovesciamento del rapporto fra “figura e sfondo” dell’oggetto sonoro: gli strumenti a vocazione armonica come basso e chitarra costruiscono una serie di ingranaggi ritmici dalla straniante quanto fascinosa compattezza psichedelica in grado sistematicamente di alterare la percezione dell’ascoltatore. Vi fa da contraltare la batteria suonata da “Zappi” Diermaier, in grado di processare il tempo musicale in modo assolutamente unico grazie alla gestione personalissima di pause e accenti, riuscendo in questo modo ad uscire dalla battuta musicale come griglia rigida che incapsula la musica popular.
La musica dei Faust sembra il prodotto di una macchina programmata con un algoritmo complessissimo, ma nonostante questo, tracima di sospesi, sussulti, enigmi, del tutto umani, fin troppo ovvio dire: troppo umani. Il tutto però espresso in modo gioioso e stupido, col gusto della boutade e dell’improvvisazione. Ogni episodio di questo concerto conteneva in se questa doppia anima: giocosi object trouvè di matrice dada, quasi sempre consapevolmente e compiaciutamene datati, come la performance in cui viene stirata la maglietta gentilmente prestata da una fan o la recita di un teorema quantistico in francese come testo di un brano, costituiscono lo spunto per dare vita a visioni infernali in forma di ipnotiche cavalcate all’insegna della musica concreta (come l’uso della motosega, smerigliatrice ed altro ancora attinto dal panorama oggettuale industrial in funzione di strumento musicale) e della de-costruzione di buona parte delle esperienze sonore della modernità,
Tanto grottesca quanto disperata, questa oscura formazione, pur manifestando una certa tendenza alla auto-celebrazione, ha dato vita probabilmente alla miglior performance dell’anno per vigore ed intensità, oltre che per la potenza storica, grondante da ogni suono.
Del concerto dei Faust se n’è parlato tanto, sia prima sia dopo. Che qualcuno sia rimasto deluso dalla loro prestazione non stupisce affatto. I Faust devono assolutamente restare una piacevole scoperta personale da tenere gelosamente con sé. I soli Peron e Diermaier, coadiuvati dall’operaio Cambuzat, proprio al compito più difficile, riprodurre quella chitarra dal suono ultraterreno dei Faust, hanno effettivamente dato – per quanto potevano – una resa del 20% di quello che avrebbe potuto rappresentare il collettivo al completo: questo, anche un vero fan lo deve ammettere. In ogni caso questa formazione rimaneggiata quando ha suonato l’ha fatto per davvero, ed il sound è schizzato dove il trio (nel caso in questione) ha voluto, per tutto il tempo, fino alle stelle! Chi è abituato ad ascoltare i dischi dei Faust già avrebbe dovuto aspettarsi la probabile impossibilità nel ricreare quello stile folle e straordinario. Ad ogni modo, dopo trenta anni l’attacco di “Krautrock” resta da schianto, “The sad skinhead” un flash isterico e “J’ai mal aux dents”, pur se senza sax, con l’energia che ad ogni modo ti aspetteresti, per non parlare di “It’s a rainy day, sunshine girl”…
Brevi cenni storici
I Faust sono nati ai primi inizi degli anni settanta quasi per scommessa, paradossalmente in maniera così poco indie da diventare il gruppo indipendente per eccellenza. Del tipo “vediamo di prendere cinque musicisti e sperimentiamo la loro creatività senza dare un limite. Costruiamo per loro uno studio e mettiamo a libro paga un mago che assembli nastri e crei oggetti elettronici e misteriosi. I musicisti non devono avere né nomi né identità, conterà solo la loro musica e stiamo a vedere che succede!”
Per la cronaca, il regista ed artefice del progetto è il giornalista Uwe Nettelbeck, che prese sul serio un’idea di un funzionario della Polydor, Kurt Enders, e mise su uno studio a Wumme, in Germania Occidentale e ci rinchiuse al suo interno cinque “matti”, Werner Diermaier, Joachim Imler, Jean-Hervé Peron, Rudolf Sosna e Gunther Wusthoff, più un tecnico, Kurt Graupner, che col suo ingegno avrebbe potuto creare l’impossibile.
Fino alla pubblicazione del cofanetto “The Wumme Years 1970-1973”, pubblicato nel 2001 nessuno ha mai saputo nulla sulla band, un po’ come per i Residents, che invece hanno resistito alla tentazione. A Wumme i Faust hanno avuto le migliori primavere con gli album “Faust”, con la magnifica e attraente edizione trasparente, “Faust so far” e “Faust Tapes” e “Outside the dream syndacate” con il violinista Tony Conrad. E lo stesso, fuori da Wumme con “Faust IV”, il collettivo aveva raggiunto un buon successo commerciale ed un ottimo risultato in termini musicali, con il disco forse più accessibile ma meno d’impatto rispetto ai precedenti. Di lì alla svolta “industrial” degli anni novanta, poco originale e così poco attraente, ma che in ogni caso ha raggiunto buoni obiettivi, vedi “Derbe Respect, Alder”, discreto disco realizzato con i Dälek:
Intervista a Jean-Hervé Peron
La critica e gli ascoltatori vi hanno sempre definito “mitici”, “leggendari”. I vostri nomi, la vostra musica, perfino voi stessi siete sempre stati coperti da un velo misterioso. Fino ad un certo punto.
Abbiamo deciso di non rivelare chi faceva cosa in modo da focalizzare l’interesse sulla musica non sui musicisti.
Cosa è successo poi?
La terra diventò sferica, l’erba crebbe, noi cambiammo. Non ci preoccupavamo affatto se il nome Faust fosse conosciuto o meno, e se la nostra musica fosse popolare o no; ci divertivamo ai nostri show, parlavamo col nostro pubblico…sai: banale, normale, geniale!
Avete sentito la necessità di svelarvi al mondo oppure ad un certo punto avete considerato concluso quello che tanti hanno definito “esperimento” di Nettelbeck & Co.?
In verità non ricordo. Non penso ci fosse un tipo di calcolo dietro la nostra conduzione…noi fumavamo parecchio hashish e sognavamo la maggior parte del tempo…non sapevamo di essere definiti un esperimento…Uwe (Nettelbeck, ndr) era un amico e un eccellente consigliere. Ci ha tirato fuori da tante sgradevoli situazioni e aveva sempre una risoluzione ai nostri problemi.
Avete mai sentito il peso di essere seminali o di aver avuto sempre apprezzamenti ed elogi praticamente da tutti?
No, non del tutto. Eravamo troppo impegnati a produrre la nostra musica e non realizzavamo del tutto ciò che accadeva attorno a noi. Io non ho mai avvertito nessun carico o inconveniente nelle nostre situazioni. Al contrario, mi sentivo estremamente privilegiato.
Avete collaborato con tanti artisti differenti e prodotto album con Tony Conrad e i Dälek. Due universi differenti…L’esperienza con Tony fu magnifica…ha cambiato la mia visione della musica e aperto nuovi orizzonti. Ho imparato ad aprire gli occhi e ad apprezzare le enormi sfumature di una singola nota. A scoprire le complessità di ogni singolo battito. Sperimentai la distorsione delle immagini del tempo ecc. Per Dälek non posso dire nulla perché non ero lì.
Il vostro sound è assolutamente unico, raramente è stato possibile riascoltarlo in qualsiasi altra band:da dove proviene?
Anche se volessi, non saprei spiegarlo e tu lo sai. La mistura delle nostre personalità e la varietà dei nostri interessi musicali ci guidò a una quintessenza ora conosciuta come “Wumme sound”: l’estratto dei sentimenti e dell’abilità di otto persone.
Non volete proprio svelarcelo questo ultimo segreto?
Si…no…si…no…si…no…
Oggi, quando si parla di Faust, inevitabilmente si parla di Kraut Rock. Raramente una scena musicale è vista con tanta passione, rispetto e fascino. Potresti spiegare ai nostri lettori più giovani qual’era il “mood” di quegli anni?
Quali anni? Gli anni ‘50? con Johnny Halliday e Dalida, con gli insegnanti che colpiscono “amorevolmente” le nostre dita, niente automobile, niente TV, un paradiso! Nuotavamo, facevamo sport e baciavamo senza sosta…Anni ‘60? Rock’n roll, beatniks, libertà sessuale e caos, il bello della politica e della poesia. Gli anni ‘70? Faust, ancora più libertà sessuale, più caos e cambiamenti selvaggi, essere naïve/uso creativo delle droghe, viaggiare senza obiettivo, comunicare senza finalità… Gli 80’s? I tempi che cambiano, come andare in discesa… I 90’s? Definitivamente, di nuovo nella mischia oooh… tutt’ora siamo ancora in cambiamento…vive les annees 2000!!
Che c’era nell’aria, qual’era l’atmosfera?
Mmmh…scusami, stavo sognando ancora…
Sentivate di appartenere ad un filone, a qualcosa di straordinario?
Si, i Faust sono extra-ordinari perché “rund ist schoen, ist schoen ist rund ist schoen rund!”
I Faust hanno coniato una dei più potenti, più drammatici ed eccentrici linguaggi della musica contemporanea…
Mon dieu ! Non l’avevo mai vista in questo modo. Avevo sempre pensato che fossimo abbastanza normali secondo il contesto sociale/politico/storico… ma se dite così…
Sembra che abbiate cercato un punto centrale fra la psichedelia post-nucleare e le atmosfere psyco-ambientali della musique concrete, rappresentando il lato scuro di tutte le ideologie degli anni 60 e degli anni 70. Come è stato possibile, e se ancora oggi è possibile, tradurre questa critica radicale al sistema delle colture hippy e flowerpower nella lingua musicale?
Vedi… noi non abbiamo pensato, noi non ci siamo sviluppati… noi facevamo e basta. Abbiamo avuto la fortuna fortunata immensa di avere avuto il tempo ed i mezzi di produrre la musica. Musica… tutto qua.
L’elemento peculiare della musica dei Faust è il rovesciamento del rapporto fra “figura e sfondo” dell’oggetto sonoro: gli strumenti a vocazione armonica come basso e chitarra costruiscono una serie di ingranaggi ritmici in grado di alterare la percezione dell’ascoltatore, a questo fa da contraltare la batteria in grado di processare il tempo in modo unico grazia alla gestione personalissima di pause e accenti. Come siete arrivati ad una sintesi così incredibile?
Abbiamo respirato regolarmente ed abbiamo spostato le nostre viscere. Abbiamo lasciato i cani e camion e madri e tempeste dettare i loro modelli… abbiamo ascoltato la parte interna/parte esterna… ed abbiamo provato a suonare… quanto più vicino possibile. Abbiamo speso molto tempo sui tetti, gridanti, per assorbire il silenzio. Ci siamo levati in piedi nudi nel tuono per assorbire la luce.
Autore: Luigi Ferrara e Pasquale Napolitano
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