Per un appassionato di rock a 360°, uno degli aspetti più intriganti è percepire e seguire le evoluzioni che i propri artisti e gruppi preferiti. I Gerda sono uno di quei gruppi che stanno sviluppando un discorso evolutivo affascinante e particolarmente attraente. Il motivo risiede nel graduale cambiamento e apertura del sound del quartetto jesino. “Black queer” è il loro quinto disco ed è dedicato a Francesco Villotta, che purtroppo non c’è più, fratello del chitarrista Roberto e che con il basista, Alessio Compagnucci, aveva formato i Vel e i Gerda in questo album ri-propongono la cover del brano “Figlia”; canzone resa carica e più veloce dell’originale grazie alla ritmica serratissima con la voce di Alessandro Turcio che resta leggermente in secondo piano.
L’evoluzione di cui si parlava consiste nel fatto che il sound è meno chiuso e contratto ma maggiormente teso verso un’apertura di cui il principale artefice è stato Villotta, ovviamente seguito dal resto del gruppo in maniera virtuosa.
Si tratta di un’apertura, che come era già emerso nel singolo “Vipera”, da un lato evoca la seconda fase dei Black Flag dall’altro condensa in sé tanto garage-rock-posthc-punk. Tuttavia, la voce di Turcio è sempre più infuocata e conserva la matrice post-core che ha sempre caratterizzato il gruppo, ascoltare per credere “Mare”, dove la ritmica è martellante, grazie non solo al binomio basso-batteria, ma anche alle cavalcate dello stesso Villotta.
Tratti di math rock si intercettano nella carica e aggressiva “Notte”, con sonorità proprie del primissimo post-punk anche se più veloce e travolgente. Stesso discorso vale per la cover di “Theme” dei PIL che il quartetto si diletta ad oltraggiare velocizzandolo e rallentandolo e stirandola in un’eccitante orgia sonora rendendola attuale e valorizzandola ulteriormente.
L’attacco di “Lulea Tx” così martellante ed ipnotica che rende il brano attraente per tutti i quattro minuti, anche nella parte in cui avviene la scarnificazione, lasciando sempre uno stato ansiogeno all’ascoltatore.
Tornando all’evoluzione del suono va considerato anche il fatto che i Gerda, prossimi ai quarant’anni, hanno maturato l’utilizzo della “rabbia” per trasformarla in qualcosa di vitale. “Black queer”, infatti, è un ulteriore passo verso il loro percorso di ricerca del caos e della confusione sonora e stilistica. Ma questo discorso non vale soltanto per loro, ma anche per tutti coloro che li seguono, dato che con queste otto canzoni (loro malgrado?) si sono resi portavoce di un percorso condiviso da molti fans. E per questo “Black queer” è un gran disco!
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autore: Vittorio Lannutti