Chris ha poco più di vent’anni, una laurea in tasca e la possibilità di entrare ad Harvard ed essere finalmente qualcuno in una società che guarda solo ai titoli.
Cris ha avuto un’infanzia di merda, un’adolescenza non da meno ed è già saturo di questa vita.
È stanco. dentro di sé cresce qualcosa di primigenio, qualcosa che lo allontana dall’ordinary life, uno spirito antivoo, da cacciatore e pioniere romantico, armato di letteratura e gambe mai stanche.
È così che si avventura in giro per gli States, tra incontri più o meno fatali, fughe e autostop, fino a raggiungere la sua meta “into the wild”.
Sean Penn, alla sua quarta regia (per chi scrive una scoperta, a dire il vero), segue il suo ragazzo/musa con occhio asettico, la camera non giudica, né giustifica, guarda. è tutto asciutto intorno, nulla di artificiale, sono la natura e i rapporti umani gli unici protagonisti.
Una natura vista à la Herzog, imperante e spietata.
Una finta amica sempre pronta a porgerti i suoi frutti e poi, pronta a chiederti inesorabilmente il conto.
A contrario, delle persone, che per fortuna Chris trova lungo il suo viaggio, inspiegabilmente accoglienti e disponibili.
alla ricerca della solitudine, vista come l’unica soluzione ad una vita familiare non appagante e ad una società vista fino ad un attimo prima come vuota e indifferente, scopre che non c’è felicità senza gli altri.
È bellissimo Into the wild: un road movie che è un viaggio nell’America degli anni ’90 e nel profondo di ogni essere umano. una ricerca di emancipazione dal materiale e dalle catene relazionali alla scopertà della libertà più pura, da vivere come in discesa su un fragile kajak, lungo un fiume tormentato. È adrenalina allo stato puro, questo ritorno ad origini ormai dimenticate.
È una pulsione inconscia e suicida.
Che non riesce a risparmiare Chris e che Sean Penn si ostina a voler spiegare, diluendo inutilmente il film per più di due ore, meravigliose eppure estenuanti.
Autore: Michela Aprea