È sempre difficile spiegare perché certi artisti irrompono nelle nostre vite e non ne escono più, pur essendo distanti per estrazione culturale, paese d’origine, lingua e quant’altro. Pure se hai la fortuna di incontrarli poche volte nella vita, scambiandoci qualche parola prima o dopo un concerto, portandoti a casa un ricordo o una foto che custodirai gelosamente, continuando a comprare ogni disco che esce perché quello è il legame indissolubile che si è creato con te a loro insaputa.
A me con Bob Mould, come per tanti altri musicisti, è successo questo sin da quando acquistai il singolo degli Hüsker Dü con la cover di “Eight Miles High” dei Byrds, che indirizzò tutto quello che poi ascoltai nei favolosi anni 80, quando l’indie rock muoveva i suoi primi passi e allargava la mia sfera di conoscenza, allontanandola definitivamente dal classic rock.
Da allora i dischi suonati sul mio giradischi o lettore cd sono stati davvero tanti, praticamente tutti quelli composti da Mould sia come parte degli Hüsker Dü, o degli Sugar e che oggi, con questo Here We Go Crazy (BMG), tocca il capitolo numero 15 della carriera da solista.
Conoscendone a fondo tutta la sua produzione, è difficile allora che Bob Mould possa sorprendermi con una nuova raccolta di canzoni, tanto più che lui stesso non sembra poi tanto interessato a farlo perché, come ha recentemente dichiarato in un’interessante intervista, che consiglio di recuperare, su Rolling Stone:<< Mi capita di pensare di andare in direzioni diverse. È quello che dovrei fare a sessant’anni, reinventare e inventare qualche grande opera concettuale o qualcosa del genere. Ma questo disco è come dare alla gente quello che vuole. Dopo tutto quello che abbiamo passato di recente, è come dire: “Ecco una bella coperta calda. Conoscete già queste canzoni>>.

Viva la sincerità, perché la sensazione provata sin dalle prime battute della title track che apre il disco, è proprio quella di trovare ciò che ci aspettiamo da Bob Mould: un solido e granitico album costruito sulle chitarre che coniuga alla perfezione l’energia punk con le melodie pop, sorrette come sempre da una solida base ritmica suonata come meglio non si potrebbe dai fidi Jon Wurster (batteria) e Jason Narducy (basso) che dal 2012 ricreano insieme a lui la magia del power trio in stile Hüsker Dü/Sugar. La migliore formazione per fare risaltare il songwriting di Mould.
Rispetto all’album precedente “Blue Hearts” (Merge (2020), il nuovo album è meno ferocemente politico, ma ugualmente lo possiamo ascrivere alla “canzone di protesta”, perché la poetica di Mould è sempre stata intrisa di politica, sin dai tempi degli Hüsker Dü, quando con “Zen Arcade” attuarono il passaggio dalla politica punk al punk personale, cercando una risposta ai primi anni della presidenza Regan, un concetto che Mould ha cercato di riprendere con Blue Hearts per rispondere al primo mandato di Trump.
“Here We Go Crazy” è meno diretto ed è un album a due facce strutturato con una sequenza dell’album pari agli atti di un’opera teatrale. Nella prima parte regna l’incertezza, mentre nella seconda parte tira un’aria più cupa a partire da un brano come “Lost or Stolen” che è pesante, parla di dipendenza della vecchia scuola e di dipendenza moderna. Quelle come alcool e droga erano e restano facilmente riconoscibili, mentre quelle moderne come la dipendenza dal gioco o dall’uso smodato della tecnologia cellulare, sono più subdole, meno appariscenti, ma non per questo meno pericolose.
Tenendo fede a quanto scritto nel comunicato stampa di presentazione, “In superficie, si tratta di un gruppo di canzoni pop chitarristiche semplici”: un insieme di punk rock feroce, power pop anthemico e un paio di momenti acustici tranquilli. Ma dietro a questa apparente semplicità, sta tutta l’arte dell’autore nello scrivere canzoni che suonano universali, anche se partono da esperienze personali, per questo i temi dei brani sono più ambigui e malinconici, intrisi di questioni che turbano la sua coscienza. È introspettivo, diretto e brutalmente onesto. I temi del controllo e del caos, dell’incertezza e del desiderio pulsano attraverso il disco, riflettendo le ansie e le turbolenze emotive che hanno sempre plasmato il suo songwriting.
Molto spesso nei testi troviamo tante domande che non sempre hanno delle risposte: “Mi hai visto sparire?”; “Il ricordo continuerà a vivere?”; “Dobbiamo creare un po’ di spazio per respirare?”; “Chi ha spento le luci?”; “Abbiamo perso il nostro centro morale?”; “È tutta un’illusione?”; “Come è potuto andare così male?”; “È ora di andare al rifugio?”; “È inverno?”.
Molte di queste si trovano nella title track che apre il disco, mentre il secondo singolo “Neanderthal”, un racconto di “lotta o fuga”, con un testo che crea un’inquietante ansia (“Il diavolo che pensavi di conoscere si è liberato”) richiama dolorose esperienze familiari. Il trauma del dolore che si manifesta nella fine di una relazione è messo magnificamente in musica nel brano “Breathing Room” con Mould che si trova a narrare il punto di vista di una persona che sta cadendo a pezzi proprio in seguito alla rottura di una relazione.
Il muro di chitarre torna a ruggire in brani che diventeranno presto anthemici come “Hard To Get”, “Sharp Little Pieces” e “Fur Mink Augurs” con quest’ultima che richiama la solarità di “Thirty Dozen Roses” di Sunshine Rock. Un caposaldo dell’album è sicuramente “When Your Heart Is Broken” uno dei brani più immediati e riconoscibili del canzoniere di Bob Mould, mostrando la sua continua capacità di fondere lo strazio con chitarre incalzanti e assoli tortuosi.
Un pezzo che sembra rispondere a quanto espresso nel brano d’apertura. Se in “Here We Go Crazy” Mould si rifugia in cima ad una montagna per sparire dal trambusto violento del mondo e ricaricarsi, in “When Your Heart Is Broken” tutta questa ricerca di protezione, svanisce rapidamente sotto l’incalzare dell’attualità.
In “You Need To Shine” Mold torna a farsi cupo cantando. “Mi preoccupo per il futuro, mi preoccupo per il dolore / mi preoccupo da solo per l’usura e la tensione”, nonostante l’incedere del brano sembra leggero e distaccato dal tema trattato.
Per uscire da tutto questo Mould si rifugia nel tema universale dell’amore con i brani conclusivi “Thread So Thin” e “Your Side” due brani in cui si respira un’aria di positività e speranza. Soprattutto “Your Side” invita a ricercare e custodire i piccoli e grandi momenti di felicità che si vivono con la persona amata, nonostante “il mondo stia andando a rotoli”.
Al termine dell’ascolto, pur trovandoci davanti ad un disco che non riserva sorprese, possiamo dire che Here We Go Crazy è un album impeccabile, ricco di ganci e carico di emozioni, che vede Bob Mould rimanere fedele al sound che ha definito la sua carriera. Un disco che chiede di essere ascoltato in un mondo di tendenze effimere, in cui la musica di Bob Mould rimane un faro di emozioni crude e non filtrate.
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