Fin dalla loro nascita nel 2007, l’essenza di Jim Jones Revue è stata quella di dare corpo ad un rock’n’roll anfetaminico e fracassone. La loro musica è sempre stata infatti una potente combinazione fatta per unire idealmente i punti tra Memphis del 1956, Detroit del 1969 e Londra e New York del 1977.
Uno sforzo generoso, un atto di amore che tiene insieme Jerry Lee Lewis e Little Richard con The Gun Club, The Cramps e The Birthday Party. Uno sforzo che, negli ultimi due anni, sembra stia cominciando a dare i suoi frutti se, come è vero, Burning Your House Down del 2010 è stato unanimemente acclamato dalla critica, il quintetto londinese è stato riconosciuto dalla rivista MOJO come una delle migliori live band del 2011 e, infine, i Jim Jones Revue hanno avuto il privilegio di suonare al Later with Jools Holland e al The Late Show with David Letterman. Naturalmente, dopo tutto questo, non era peregrino chiedersi se l’urgenza allucinata alla base dei due primi dischi poteva essere ancora riprodotta senza che tutto si risolvesse in trucco a buon mercato. A dare una risposta definitiva i nostri prodi provvedono con questo loro terzo album. The Savage Heart vede infatti la band esplorare nuovi linguaggi musicali: si vira decisamente verso il blues e i livelli di energia sono trattenuti.
Naturalmente è tutto relativo, perché, anche nella versione più sobria, la Revue suona sempre ad un livello più alto della maggior parte dei gruppi sulla scena. Ad ogni modo se l’album inizia con le note più che familiari di It’s Gotta Be About Me, è proprio quando quel senso di familiarità svanisce che tutto comincia a prendere davvero forma. Sono infatti brani come Chain Gang e 7 Times Around The Sun che donano a The Savage Heart un cuore scuro e pulsante. Senza dimenticare la conclusiva Oceans Midnight & The Heart Savage, una ballata romantico e viziosa che da l’opportunità a Jim Jones di prodursi in una performance alla Mark Lanegan.
In fin dei conti quindi un album che presenta diverse sorprese legate ad una maggiore profondità del songwriting e alla decisione di dare maggiore centralità al suono del piano di Henri Herbertand che, ancora una volta, si dimostra un vero virtuoso. Sorprese che si devono anche al contributo di Jim Sclavunos alla produzione (Grinderman, The Bad Seeds) e Jim Abbiss (Arctic Monkeys) al mixaggio che riescono nell’impresa, apparentemente difficile, di catturare il suono essenziale e crudo del gruppo come se questo stesse suonando dal vivo. Se ce ne fosse ancora bisogno The Savage Heart è la prova che i Jim Jones Revue sono tutt’altro che un fenomeno revivalistico, quanto piuttosto una band che non ha paura di sperimentare. Musicisti consapevoli che impattano la tradizione per tirar fuori una musica che ha una immediatezza del tutto contemporanea.
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autore: Alfredo Amodeo