“Down In The Garage”: ovvero un tuffo nella musica Sixties-oriented. Tra beat impeccabili, vortici di Farfisa, riff di chitarra grezzi e ossessivi, voglia di ballare e divertirsi. Come ci insegnano i Mondo Topless, autori lo scorso anno del miglior disco del genere. “Take It Slow” (Get Hip), quarto album della band, è un concentrato di stile, grinta, passione, declinati attraverso dieci brani impeccabili per classe e forza comunicativa. Dall’iniziale title-track si snoda un viaggio musicale di grande impatto che passa attraverso la cover di “Louise” (Paul Revere & The Raiders), i sussulti ritmici di “It Hurts Me”, i groove di “Can’t Dig It” fino all’ipnotica ballata “Crawl”. Un album da consumare a furia d’ascolti.
Dagli States ci spostiamo a casa nostra per festeggiare un gradito ritorno: quello dei Kartoons di Cosenza che pubblicano un nuovo LP a otto anni dal precedente “Introducing…”, guarda caso appena ristampato da For Monsters, con l’aggiunta di un paio di bonus-track. Se quel disco li vedeva artefici di un suono garage dalle venature beat, con “Undelivered” (Mania Records) il quartetto capitanato da Francesco Ficco sposta il tiro verso un suono più melodico e, per certi versi, psichedelico. Il risultato è godibilissimo: gli otto brani dell’album vanno dalle movenze malinconiche dell’iniziale “Stop The Time” al sound byrdsiano di “Something She Said” fino alle malie lisergiche della conclusiva “Home Little Joy”. Restando sempre in Italia e spostandoci però verso territori più groove-oriented, segnaliamo una bella raccolta dedicata al Link Quartet, il più noto gruppo italiano di hammond-beat. “Evolution”, questo il titolo dell’antologia pubblicata dall’americana Hammond Beat, contiene 18 brani che ripercorrono la vicenda della formazione piacentina dal 1997 al 2001. Siamo in territori assai vicini al James Taylor Quartet, di cui i nostri sono grandi fan, e al funky nero tipico delle colonne sonore dei cult-movie e delle serie televisive anni ’60 e ’70. Se ancora non avete avuto modo di conoscere la magia di questo eccellente combo strumentale, non mancate il contatto con “Evolution” e con “Decade”, l’ep allegato contenente due brani originali e due cover.
In tema di ristampe è d’obbligo segnalare l’omonimo album dei New Salem Witch Hunters, cult-band di Cleveland in attività nei medi anni Ottanta. Originariamente pubblicato nel 1986 e ora finalmente ristampato da Get Hip, “New Salem Witch Hunters” contiene undici brani (inclusa una bonus-track) di garage chitarristico dall’eccellente songwriting. Intrigante il tiro sonoro del quintetto: ora melodico, ora più virato su un versante ipnotico/psichedelico. Un gran bel disco, sottratto all’oblio.
Per la stessa etichetta vede la luce il secondo lavoro dei Rainy Day Saints, a tre anni di distanza dal bel debutto “Saturday’s Haze”. “Diamond Star Highway” prosegue nel solco tracciato da quel primo episodio discografico con una manciata di canzoni molto varie ma legate da un unico filo conduttore: la grande capacità di scrittura del quartetto statunitense. Così nelle undici tracce dell’album possiamo trovare episodi power-pop assolutamente melodici alternati a brani più compatti. E ci sono pure due cover stravolte: l’anthem punk dei Dead Boys, “Sonic Reducer”, che viene rallentata e distorta fino a diventare uno spettacolare trip psichedelico; e la conclusiva “Terminal Island”, un episodio rubato al songbook di Falling James dei Leaving Trains.
Dagli States voliamo in Australia dove ha il suo quartier generale l’attivissima Off The Hip, etichetta votata al culto della materia garage. Tra le ultime scoperte dell’etichetta ci sono le Shimmys, un terzetto tutto al femminile che esordisce con le cinque tracce dell’Ep “Shake! Stomp! Shimmy!”: dieci minuti di garage sporchissimo e coinvolgente sulle orme di Pandoras, Headcoatees e 5,6,7,8’s. E le Shimmys sono pure protagoniste di “Hellbound Honey”, interessante raccolta che fotografa la scena garage femminile internazionale. Oltre a loro firmano questa sorta di “manifesto sonoro” anche Las Curvettes (Argentina), The Booby Traps (Australia), The Dirty Burds (Regno Unito), The Cherrypops (Germania), Thee Girlfriends (Spagna) e le statunitensi Thee Minks.
Spostandoci su un versante più psichedelico, ma restando sempre in Australia, bisogna segnalare il secondo album dei Dolly Rocker Movement. A neppure sei mesi dall’esordio “Electric Sunshine”, la prolifica formazione di Sydney ritorna in pista con un nuovo album che mischia sapientemente influenze garage, aromi psych e spezie freakbeat, senza dimenticare la lezione del folk-rock californiano dei tardi anni ’60. Il risultato è “A Purple Journey Into the Mod Machine”, un bel disco pubblicato ancora da Off The Hip.
Dall’Australia torniamo in Europa, più precisamente in Italia, per ascoltare alcune delle numerose uscite (non recentissime, in realtà) dell’attivissima label romana Misty Lane e della sua divisione “contemporanea” Teen Sound. Proprio per quest’utimo marchio vede la luce il debut-album dei Preachers. “Voodoo You Love?” inanella dieci brani trasudanti passione per il 60’s-sound più primitivo e oscuro. Dai solchi dell’album emerge con forza l’influenza di un gruppo cardine del garage revival degli anni ‘80 come i Fuzztones: basti ascoltare il vortice sonoro dell’inizale “Sex Rules”. Ma la formazione di Verbania possiede molte altre frecce al proprio arco. “Voodoo You Love” è un esplosione di chitarre Phantom rigorosamente ‘fuzzate’, atmosfere criptiche ed energia ‘teen & wild’. Da segnalare anche la cover filologica di “My Little Red Book” (Burt Bacharach via Love). Sempre per l’etichetta guidata da Massimo Del Pozzo segnaliamo l’esordio di The Miracle Men. “They’re coming…” svela l’amore del quartetto olandese per gli anni della “British Invasion”, come dimostrano le undici composizioni dell’album tutte incentrate su un suono beat e R&B di matrice anglosassone. Grande pulizia formale e devozione per il più autentico Mersey-beat arrivano invece dai solchi di “Wildberry Shake!” di Peter Berry & The Shake Set, quartetto norvegese che sembra aver preso la macchina del tempo ed essere finito per caso nel nuovo millennio. In realtà siamo nel 1965 o giù di lì: le armonie vocali di stampo beatlesiano, le ritmiche essenziali e una chitarra minimale descrivono l’universo sonoro della formazione di Oslo che per registrare i dodici brani dell’album si è affidata alle sapienti mani di Liam Watson e del suo ormai leggendario Toe Rag Studio in quel di Londra. Si intitola invece “Out of Fashion” l’album degli italianissimi Rookies che, muovendosi a loro agio tra originali di bella fattura e cover più o meno oscure, riescono nell’intento di realizzare un bel lavoro Sixties-oriented di chiara marca olandese, tra inflessioni più garagistiche e spezie folk-rock. Carine, ma niente più, anche le Double Features Creatures, formazione canadese tutta al femminile che propone un misto di garage minimale, influenze psichedeliche e melodie vocali da bubblegum music. “Return!” mette in mostra una dozzina di episodi provenienti dal biennio 1994-95 e sette bonus-tracks con registrazioni casalinghe, bozzetti di canzoni e stravaganze assortite.
Un grande gruppo garage, tra i migliori venuti fuori negli ultimi anni, risponde invece al nome di Coffin Lids. Con colpevole ritardo segnaliamo l’eccellente “Round Midnight” (Bomp!), un disco che farebbe muovere pure i sassi con la sua selvaggia miscela di crudo r’n’r e garage d’oltretomba, con una tastierina minimale a menare le danze. Nei quattordici brani dell’album il terzetto di Boston non fa che confermare quanto di buono emerso sul proprio conto con il debut-album “Rock’n’Roll”.
E chiudiamo questa prima “puntata” di “Down In The Garage” con il nuovissimo album dei danesi Defectors che ritornano in pista a tre anni esatti dal precedente “Turn Me On!”. Come si evince già dalla copertina, “Bruised and Satisfied” mette in mostra tredici vibranti episodi di garage oscuro e criptico. In realtà, ad un ascolto più attento, il disco risulta essere composto di due parti abbastanza distinte. E la cosa appare ancor più evidente se si sceglie l’edizione in vinile: se nella prima i brani potrebbero tranquillamente arrivare dalla colonna sonora di un horror-movie di serie B degli anni ’60, la seconda parte è un vero e proprio assalto di garage-punk ‘fuzzato’ e ipercinetico, con overdosi di organo farfisa. Assolutamente da non perdere.
Autore: Roberto Calabrò
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