Invochiamo i santi numi per non brancolare. Voci chiamate per uscire dalla notte e dall’inverno, seguendo rotte di fantasmi letterari. Sogni di Fabrizio De Andrè, Tenco, Battiato e i poeti. Quelli veri, che lasciavano versi scritti sulla carta o sulle pietre. Per la materia che muore ogni volta e ci ricorda della fine. Andiamo dritti e passeggiamo inevitabili sul nulla che ci arriva. Lungo un’orchestra che si acquatta sulla schiena e mostra il tempo, ci mette ansia e ci spaventa e infine ci carezza. Niente paura della morte. Le voci si fanno indovinare con la pazienza di una volta. Le storie fanno bene e male mentre l’inutile scompare.
Dischi volanti di vinile disegnati dalle musiche da film, l’orrore che attraversa come un gioco. Lasciarsi correre di folle amore. “Credi di morire non è niente se l’angoscia se ne va”. Come i sepolcri , come i ricordi e la potenza. Perchè ci siamo impantanati nel futuro, a governare l’impossibile e il dolore, cercando a forza l’infinito materiale, inutilmente?
Quante letture e quanto sforzo equilibrato, magniloquenza musicale e sovrappesi. “Che noia le trombe e gli archi, tutto il contorno, dov’è la strofa e dove suoneria.”
Chi vuole i boschi siberiani e le storielle medievali, chi vuole i cuori sanguinanti e i micromondi del diorama?
Chi cerca la paziente costruzione di un’amore al giorno d’oggi? Abbiamo gli anticorpi all’illusione che ci uccide ogni momento. Parole in ordine emotivo e un bacio orale contro le pornografie. Abbiamo anime che recitano i versetti sottovoce, inizialmente tetri in un salone senza luce. Ma poco a poco quelle voci sono guida fino all’alba, sugli scogli con i piedi a fondo, con un’orchestra rivelata e i cori bianchi.
La potenza della realtà ci sta sfuggendo di mano.
Temiamo un addio o un dolore. Fingiamo e costruiamo distanze. Temiamo i ricordi. “Bisogna avere fede ed esplorare ogni spazio siderale”. Non avrete altro che un disco, per un’ora e più.
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autore: Alfonso T. Guerritore