In diretta dal paese che sembra una scarpa, fra ragazzi eroe e cattivi pagatori, ci siamo fatti raccontare da Karim Qqru, batterista dei The Zen Circus, chi sono i “Nati Per Subire” del loro ultimo lavoro discografico.
“Nati Per Subire” si presenta come una naturale prosecuzione del cammino intrapreso con “Andate Tutti Affanculo”, non solo per il vostro passaggio totale all’italiano ma anche per una certa compattezza stilistica. In effetti questi vostri due nuovi album sono alquanto diversi, sotto questo aspetto, dai vostri lavori precedenti, ed in particolare da “Villa Inferno”, album variegato che più che l’album di una band singola sembra quasi una compilation di tante band: come mai avete abbandonato quel tipo di approccio poliedrico abbracciando uno stile ormai ben definibile?
Il processo è stato molto naturale. Con gli anni abbiamo digerito tutti i nostri ascolti e le nostre influenze, acquistando una maggiore personalità nel suono. Certo, all’interno di un nostro disco spaziamo tra molti generi, ma con il passare del tempo sviluppi un suono personale, un marchio di fabbrica, figlio di tutto quello che ascoltiamo ma pur sempre nostro.
A “Nati Per Subire” hanno collaborato tanti artisti delle scena musicale italiana, dall’ormai inseparabile Giorgio Canali ai Ministri, da Dente a Enrico Gabrielli passando per Alessandro Fiori, Nicola Manzan, Il Pan Del Diavolo (che vi avevano ospitati sul loro album d’esordio, “Sono All’Osso”, in “Bomba Nel Cuore”), Tommaso Novi dei Gatti Mèzzi e Francesco Motta dei Criminal Jokers (band prodotta dalla vostra etichetta, la IceForEeveryone): parlaci un po’ di come sono nate queste collaborazioni.
Fondamentalmente sono tutti amici. Una delle cose belle di questo lavoro è l’intrecciarsi dei rapporti con gruppi che conosci in un palco o in un camerino e che, piano piano, diventano amici. La stima per la musica che fanno e per le persone che sono ti portano a collaborarci insieme. È tutto molto naturale e chiamarli a mettere una sfumatura nel nostro disco è stato quasi automatico.
Un altro aspetto importante di “Nati Per Subire” è il fatto che siete passati praticamente all’autoproduzione (artistica): com’è maturata questa scelta e quali sono i vantaggi e le difficoltà di un tale tipo di lavoro?
Dopo anni di dischi prodotti artisticamente insieme ad altre persone, questa volta ci siamo sentiti pronti ad affrontare il lavoro in studio da soli. Gli anni passano e musicalmente cominci a conoscerti sempre meglio, si sviluppa un’empatia che nella realizzazione di questo album ha raggiunto risultati molto stimolanti. Entrare in studio di registrazione con le idee chiare rappresenta il 50% del lavoro.
Avete affermato che musicalmente questo album è quello che volevate fare con “Andate Tutti Affanculo”, nel quale non eravate riusciti a farlo pienamente: in cosa non eravate riusciti allora?
Dal punto di vista prettamente musicale “Nati Per Subire” a nostro avviso riesce a mischiare in modo efficace il cantautorato con la musica alternativa americana e inglese con la quale siamo cresciuti tutti e tre. “Andate Tutti Affanculo” è un disco che per noi rappresenta moltissimo, lo adoriamo, ma in un paio di tracce non riesce ad arrivare a questo risultato al 100%. Con l’ultimo disco è venuto tutto più naturale anche in studio, nel quale dal punto di vista degli arrangiamenti abbiamo lavorato con più decisione e coesione.
“Nati Per Subire” è stato mixato al Q Studio dei Pooh: che rapporto avete con questa band? Li avete conosciuti? Hanno avuto modo di ascoltare vostri brani?
Il bravissimo fonico con il quale abbiamo lavorato per questo album è Ivan Rossi, che al tempo lavorava con i Pooh al Q studio di Milano, uno studio megagalattico, nel quale abbiamo deciso di mixare il disco, dopo aver fatto la registrazione al SAM di Lari. Non credo abbiano ascoltato a modo il disco, ma spesso giravano per lo studio, che era tempestato di loro gigantografie.
Nel presentare il nuovo album avete sottolineato l’importanza del mettersi costantemente in discussione, processo che porta poi a una crescita dell’individuo e quindi della società di cui fa parte. Forse uno dei problemi principali dell’essere umano sta proprio nella difficoltà che si ha nel mettere in discussione ciò in cui si crede (o si crede di credere): quali sono le cose che più hai rivalutato (musicalmente come politicamente così come nelle cose di ogni giorno, anche nella scelta della tua pizza preferita) negli ultimi anni?
Mmmm, questo è un domandone. Nella mia vita do molta importanza alla coerenza. Anche se perseverare con essa a costo di fare e dire cose stupide è svilente. In questo quindi la crescita è fondamentale. Da ragazzino ero musicalmente spocchioso, ignorante e limitato. Ascoltavo solo punk, noise e metal. Con gli anni ho imparato a sentire tutto; l’amore per il jazz cominciato qualche anno fa mi ha fatto perdere tanti pregiudizi che avevo su molti generi e mi ha fatto capire che la musica si divide in bella e non. Con gli anni poi ho rivalutato molto quello che temevo tantissimo da adolescente, ovvero la vita tranquilla, lo stare a casa e godere delle piccole cose, che da ragazzino giudicavo poco importanti. Quando non sono in tour andare a casa mia ad Alghero, svegliarmi la mattina presto, fare una passeggiata e starmene un’ora al porto o al mercato a scegliere il pesce e pensare per un’altra ora come cucinarlo, mi fa stare bene e mi fa capire che alla fine dei giochi, nella vita questo è l’importante; stare bene, o almeno provarci.
Se posso azzardare un paragone, la piega che sta prendendo il vostro stile, che al folk e al rock, sempre più “scarno” ed essenziale rispetto al passato, sta unendo man mano sempre più massivamente testi di stampo sociale, mi ricorda per qualche verso l’Edoardo Bennato più dissidente: lo sentite vostro il paragone? E cosa ne pensate di Edoardo Bennato?
Il primo Bennato non ci dispiace per niente ed i contenuti hanno qualcosa in comune. Dal punto di vista della composizione questo disco forse è il meno scarno in assoluto insieme a “Villa Inferno”. C’è dentro tanta roba, piccole cesellature che contribuiscono a costruire l’arrangiamento della canzone. Spesso in una canzone ci sono dentro 2/3 batterie sovraincise con accordatura diversa e percussioni varie, in più una marea di chitarre e doppie voci, synth che eseguono le partiture di chitarra etc. Tutto questo fatto in maniera poco invadente, anche perché il disco poi va portato live, dove siamo solo noi 3. Sui testi ti do pienamente ragione. Con “Andate Tutti Affanculo” abbiamo aperto una parentesi sull’Italia continuata e conclusa con “Nati Per Subire”. Dal prossimo disco parleremo di altre cose. Certo l’Italia farà sempre parte dei nostri testi, ma, la crescita ed il cambiamento per noi è essenziale. Siamo contentissimi di “Nati Per Subire” anche per questo, perché siamo riusciti ad esprimerci al nostro meglio sull’argomento Italia.
Un tema spesso presente nei vostri testi è la morte, soprattutto in quest’ultimo “Nati Per Subire”: come mai è così ricorrente?
Viviamo costantemente con la morte. L’evoluzione della nostra società ce la vuol far dimenticare, trova modi per scacciarla, per esorcizzarla sempre di più. Ma in realtà è sempre li a soffiarci sul collo. E allora dobbiamo conviverci e almeno tentare di averne un po’ meno paura. Quando parliamo della morte tra di noi, spesso la frase che ricorre più sovente è “che palle”. Come quando sai che devi fare qualcosa della quale non hai voglia, ma che devi fare comunque, per forza.
“Non c’è niente di male nell’essere un consumatore, tu vorresti anche capire ma nessuno te lo vuol spiegare”: vogliamo provare a spiegarlo? Perché esistono così tanti “cattivi pagatori”? Cos’è che spinge la gente a comprare oggetti che per la maggiore non gli servono neanche?
Io credo che i motivi principali siano due. Dal secondo dopoguerra c’è stato un processo in continua ascesa di lavaggio del cervello. Ogni giorno siamo subissati da messaggi, diretti e non, nei quali ci viene fatto credere che sia fondamentale avere tutta una serie di cose, che in realtà, nella maggior parte dei casi è superflua. Le persone si sono adattate a questo senza il minimo problema creando un nuovo stile di vita al quale la gente si adegua costantemente. Il secondo motivo è la noia. Le domeniche ai centri commerciali, agli outlet ne sono l’esempio più calzante. Se la gente restasse a casa, non avrebbe nulla da dirsi. Tutti gli input forzati che invece ricevono all’Ikea, sono spunto di discussione continua. Certo, non è sempre così, ma queste situazioni hanno sempre più riscontri nelle famiglie italiane.
“L’ultimo dei tuoi problemi è la mobilità sociale che non s’è mai capito cosa vuol significare”: ora ve lo spiego io. Da Wikipedia (prima che ce la chiudano) leggiamo: “Per mobilità sociale si intende il passaggio di un individuo o di un gruppo da uno status sociale ad un altro, e il livello di flessibilità nella stratificazione di una società”. Quel “livello di flessibilità” immagino si riferisca a una flessibilità del corpo fino ad una posizione conosciuta anche come “90 gradi”. Secondo te esiste la possibilità per un “comune mortale” di ambire alla scalata sociale? Esiste il self-made man? O è solo una speranza che ci hanno insegnato a coltivare per “tenerci buoni”, per dirci “tieni duro e sgobba, che prima o poi anche tu…”?
In Italia, terra di nepotismo, questo, anche se possibile è molto più difficile. Il paese nel quale ho visto questa cosa reale è l’Inghilterra, dove trovi direttori di alberghi e di banche indiani e pakistani.
“Non chiamarci comunisti, dai che non ce n’è più bisogno, piuttosto siamo i qualunquisti“: il qualunquismo, nella storia della Repubblica italiana, è sempre stato visto per la sua accezione negativa, soprattutto considerando che il termine che delinea quella classe di persone che si dissociano dalla politica perché vedono sinistra e destra come schieramenti uguali è nato in un periodo in cui a farla da padrone era fondamentalmente quella sinistra un po’ radical-chic piena di contraddizioni che vedeva nei non allineati al partito i “nemici”. Secondo te la storia ha dato ragione al qualunquismo? C’è effettivamente un sistema bipolare con due facce delle medaglia identiche? Ce lo siamo meritati Alberto Sordi? E, per citare una band che ha collaborato a “Nati Per Subire” che cita Nanni Moretti, “ci meritiamo le stragi”?
La storia dell’Italia è molto complicata e rara. Siamo il paese dei misteri, delle stragi senza colpevole, dei servizi deviati, dell’eterna matassa tra la politica, la televisione, la massoneria, la criminalità organizzata e i soldi. Il qualunquismo fa parte di noi, non potrebbe essere altrimenti dopo 50 anni (e coda) di tutto questo. Ma ciò non ci rende certo meno colpevoli; gli italiani si sono fatti ungere da queste trame senza il minimo problema, perché alla fine conviene a tutti (o quasi).
“La democrazia semplicemente non funziona” o è che in realtà funziona troppo bene per come è stata concepita, ed è cioè solo un sistema studiato per dare una parvenza di scelta alle masse in modo che si sentano partecipi della cosa pubblica ma di fatto poi non scelgono nulla in quanto, in un sistema bipolare come il nostro, gli schieramenti politici servono solo per inscenare una farsa e le decisioni politiche e sociali vengono poi di fatto prese da altri, dal potere economico?
L’Italia attualmente non è un paese democratico. Non voglio ripetere il classico pistolotto su Berlusconi, ma, un cittadino italiano non decide nulla della vita politica e di conseguenza nemmeno di quella economica. So che sembra un discorso disfattista, ma questo ora è quello che ho davanti ai miei occhi. Se tutti seguissero davvero, informandosi, la vita politica italiana, capirebbero che PDL a parte, dalla prima repubblica non è cambiato nulla tranne lo spessore di politici come Berlinguer Moro e Almirante che con tutti i loro difetti ora ci sogniamo, e il fatto che questi politici almeno avevano la decenza di fare il cazzo che volevano senza mostrare fieri a tutti le mani sporche di merda, creando così dal punto di vista sociale meno disastri sociali alla “facciamo il cazzo che ci pare, fatelo anche voi”.
zen circus – la democrazia semplicemente non funziona by jame5cook
Siete molto critici nei confronti della religione. A mio avviso il pensiero religioso è quello che forgia di base, fin dall’infanzia, il modo di ragionare di un individuo, in particolare quando accompagnato da un livello di istruzione basso. Un tipo di pensiero che, basandosi sul dogma e sull’impossibilità di dare una spiegazione ad esso, deve essere assunto a priori senza possibilità di analisi o di replica. Un tipo di pensiero assunto passivamente che poi estendiamo a tutto il conoscibile. Ed ecco arrivare la pubblicità, la propaganda che, forte dell’indottrinamento religioso, assumiamo come la religione in maniera dogmatica. Lo vediamo ogni giorno allo stadio come in politica, persone che difendono a spada tratta il partito che hanno deciso li rappresenti, sia esso di destra o di sinistra, senza però fare una critica lucida delle scelte dei propri leader (e di tutto il contesto). Come si abbandona un tipo di pensiero così radicato? E credi sia possibile che le masse riescano ad abbandonarlo?
La massa è composta da singole persone. E la rivoluzione vera comincia da piccoli gesti quotidiani: decidere se informarsi o meno, cambiare con il telecomando un canale televisivo e scegliere cosa comprare al supermercato. La religione, soprattutto in Italia ci viene inculcata sin da bambini e ne è pregna ogni cosa. L’ignoranza vera sta nella mancanza della scelta consapevole e del mettersi in discussione. Decidere di fare un percorso, magari privo di quelle sicurezze che ci accompagnano da anni, è meno sicuro, irto di domande scomode, ma più illuminante.
Parliamo della manifestazione degli Indignados del 15 ottobre.
Era prevedibile il casino che poi è scoppiato. Quello che mi ha stupito è stato il numero non esiguo di persone che si sono unite al caos, dopo la miccia accesa da 80 stronzi. La gente è esasperata e fa cazzate, è normale. La polizia si è comportata bene (a parte un paio di episodi), cosa che nelle ultime manifestazioni succede più di prima. È evidente che anche le forze dell’ordine si sono rotte le palle di difendere questo governo e i comunicati stampa dei loro sindacati parlano chiaro. E questo è un campanello d’allarme enorme. Sono tutti incazzati neri, come non succedeva da anni e questa situazione va cavalcata, senza abbandonarsi a violenze inutili, per cercare almeno di smuovere le acque e svegliare tutta quella parte dell’Italia che ancora dorme nell’ovatta.
In un pezzo scritto da Nicola Sessa relativo alla manifestazione degli Indignados comparso sul sito it.peacereporter.net mi ha colpito in particolare una sua riflessione: «E ancora i cori: sempre “Silvio pedofilo”, “Silvio vaffanculo”. È tutto molto limitato e cieco. Gli Indignados si muovono contro un sistema asfissiante politico-finanziario, di cui fanno parte tutti, anche i sindacati. Il bersaglio non è un solo governo e gli Indignados, per definizione, non possono e non devono sopportare il cappello di alcun partito. Magari, un giorno scopriremo che un corteo silenzioso, sobrio, senza musica e alcol spaventerebbe maggiormente i vampiri che ci guardano dall’altro». Tu cosa ne pensi? C’è così tanto bisogno di trovare un capro espiatorio (in questo caso Berlusconi) che di fatto svia l’attenzione dalle problematiche reali, e cioè che è il sistema in toto che non va? Tra l’altro questa pratica della demonizzazione di un individuo o di una “parte” è tipica proprio del modus operandi di chi vuole sviare l’attenzione delle masse dalle problematiche reali. Il trovare un “cattivo” contro cui accanire la propria rabbia e dimenticare in questo modo il resto (dall’Unione Sovietica alle Brigate Rosse fino ai più recenti islamici). E mi viene in mente “col dito al cielo urli tutta la tua rabbia ma non ti accorgi che hai la testa nella sabbia”. È possibile che anche chi manifesta con certi intenti, per il miglioramento della qualità della vita, si lasci soggiogare da queste logiche facendo proprio il gioco di chi sta al potere?
Certo, questo accade sempre più spesso negli ultimi anni. La dialettica antagonista e dei sindacati si sta sempre di più attorcigliando su sé stessa, facendo leva su messaggi tautologici e obsoleti, che vengono poi usati per farli a pezzetti.
In un’intervista hai detto che non hai tanto paura del Berlusconisco quanto piuttosto di ciò che verrà dopo: ci spieghi meglio questo concetto?
Il Berlusconismo ha creato un modo di vivere e di interpretare la vita politica e sociale che secondo me sarà difficilissimo da smaltire. È entrato nelle ossa di tutti noi, anche se non ce ne accorgiamo. Temo l’onda lunga di questi ultimi 15 anni.
“Alle donne, agli uomini, ai froci, vi amo, vi adoro e ricopro di baci”: parliamo del bacio gay nel video di “L’Amorale”.
È stata una magnifica idea del regista, baciare Gesù. Che dire… chapeau.
Una curiosità mia: ma “testa” che significa?
Testa è un modo con il quale l’Appino chiama le persone. (esempio) Ehi testa, come va?
In “Franco” mi sembra di leggere una non troppo velata critica ai circoli ARCI.
Più che una critica è una presa in giro fatta con un sorriso per niente cattivo. Siamo cresciuti tutti e tre nei circoli ARCI ed in Toscana sono un’autorità. Ci hanno cullato durante l’infanzia e l’adolescenza. Tutti noi ne abbiamo ricordi vividissimi. Purtroppo negli anni hanno perso la valenza che avevano un tempo, ma rimangono un gran bel posto dove passare i pomeriggi del sabato in un paese quando sei ragazzo. E anche da vecchio. Meglio lì che alla SNAI.
Da “Ragazza Eroina” a “Ragazzo Eroe”: cosa si direbbero la ragazza eroina con uno dei tanti ragazzi eroe in un ipotetico incontro?
L’incontro non è ipotetico, vivono fianco a fianco ogni giorno.
Vuoi dire un’ultima cosa a chi ci sta leggendo?
Occhio alle volpi sulle provinciali.
Autore: Giuseppe Galato
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