Non li ho mai compresi i Pet Shop Boys, e non ho mai capito neanche che tipo di pubblico li segua o più semplicemente chi, negli ultimi tempi, possa essere un potenziale acquirente degli album di Neil Tennant e Chris Lowe. Del resto anche la critica è sempre stata piuttosto ambigua o poco decisa verso le creazioni del duo: “Bello ma…”, “Bruttino però…”. Tennant e Lowe ci mettono il loro, guardano con attenzione al mercato indie, sicuramente, ma puntando alle masse, decisamente. In relazione a quanto su scritto, mi è poco chiaro anche “Disco 4”, quarto appuntamento della serie “Disco” dove i PSB si sono lasciati “sventrare” i propri brani da altri remixers (1986, 1994 e 2003 le precedenti edizioni). Nel caso concreto, i ruoli si invertono e il duo si propone in cabina di regia in qualità di dj/producers a miscelare le tracce di hit di Madonna, Yoko Ono, David Bowie, The Killers, Atomizer e addirittura Rammstein, incespicando talvolta in terreni tortuosi. Va detto che gli otto brani di “Disco 4”, non sono remix classici per eccellenza, anzi quasi oserei dire che trattasi di versioni personalizzate (“petshopboyzzate”) del duo con addirittura il nome di ogni brano affiancato da un sottotitolo, e nel rispetto del puro stile pop-dance Pet Shop Boys, tant’è che ogni brano comincia in un modo per poi svilupparsi in un’altra maniera e concludersi in un’altra ancora o ritrovare durante il “tragitto” i motivetti e le melodie originali.
Interessante il lavoro fatto alla cattivissima “Mein Teil ” (sottotitolo “PSB There are no guitars on this mix”) dei Rammstein, che sarà apprezzato soprattutto da possessori di buoni impianti stereo per i giochi di pan, effetti e veemenza. “Walking on thin Ice” (“PSB Electro mix”) non è male, anche se subisce oltremisura il peso della versione primordiale di Yoko Ono, troppo bella, così com’è. Indubbiamente le migliori riuscite riguardano proprio i remix dei pezzi dei PSB: “Integral” (PSB Perfect Immaculate mix”) e “I’m with stupid” (PSB Maxi-mix).
In genere, l’aria che si respira è di un perenne revival, con parti elettroniche, anzi ri-arrangiamenti elettronici, piuttosto interessanti, anche se la sezione ritmica, tranne che in alcuni casi, è superficiale e priva di personalità, importata senza riserbo dalla peggiore dance ’90.
Un commento duro, soprattutto perché da una band di esperienza come i Pet Shop Boys qualcosina in più è assolutamente lecito aspettarselo. Quel qualcosa che avrebbe potuto far pendere la bilancia dalla loro parte, perché rendersi difficile la vita nel tentativo di mixare brani già da dancefloor come “Sorry” di Madonna o, trame rock intricate come “Hallo Spaceboys” del Duca Bianco, non mi è sembrata proprio una scelta felice, e allora perché magari, non abbassare l’obiettivo e coinvolgere i nuovi eroi dei dancefloor contemporanei?
Autore: Luigi Ferrara