Previsto per Settembre (a differenza della recensione), “Sen Soj Trumàs” è l’occasione perchè il sottoscritto abbia qualcosa in più da farsi perdonare da Cinzia di Snowdonia. Una particolare vocazione ad affrontare di petto il “rischio professionale” (o, se preferite, masochismo) di questo – mio – mestiere mi porta sempre verso gli insidiosi lidi dell’etichetta dello Stretto, cui si aggiunge, in quest’occasione, la ravennate New LM.
Vista la mia dimestichezza col catalogo della label messinese posso dirvi – ma non è che ci sia arrivato subito – come i Transgender rappresentino, nell’ambito dello stesso, una novità abbstanza sostanziale dal punto di vista stilistico-attitudinale. L’approccio del quintetto romagnolo, tendenzialmente rock, travalica gli argini del solco tracciato dalle precedenti produzioni, che, anche quando no-wave-che-più-non-si-può, nel rifuggire i clichè, anche “alternativi”, del rock, individuavano la propria essenza/matrice in una concezione di pop iconoclasta, antitetico, destabilizzante, ovviamente avulso all’identità pop=commerciale, ma pur sempre pop (come le copertine di Cinzia, compresa anche questa, enfatizzano), quasi in ossequio a una logica da “estremi che si toccano”. Anche i Transgender sperimentano, beninteso, “crossoverizzando” le definizioni del rock. Ma è di rock, inequivocabilmente, che stiamo parlando.
Non esiste un vero e proprio “centro di gravità” stilistico in questo disco, se non l’utilizzo di una lingua posticcia (online le traduzioni, se proprio volete). Né è detto che si debba per forza trovare una chiave di lettura. Se ‘Diè Ducantèlva’ osa sfidare l’abrasivo incedere chitarristico di Fripp, ‘A Crime Memoir’ non fa nulla per dissimulare il post-rock di Chicago. Altrove l’aeergia ai generi si fa più evidente: folk padano “violentato” da scariche guitar-synth (‘Craud’), allucinazioni psych-rock (‘Dernier Jour’, che si fa ricordare per un ipnotico groove di basso), lente e intimistiche nenie 8’Dre Fuè), repentine parentesi di synth (l’inizio di ‘Mavra (Sal a Ruè)’), epica magniloquenza pinkfloydiana (‘Spoony Geeza’), derive ital-prog (‘Multìs’). Giovanni Lindo Ferretti con la sua voce greve rende ‘Mantra’ inevitabilmente ferrettiana, come pure Eraldo Bernocchi mette mano al disco per un remix. E altre paretcipazioni meno eclatanti (tra cui quella, ai cori, della Bottega di Musica e Comunicazione, nuova creatura, in quel di Bologna, del Ferretti). Transgender, di nome e di fatto (non sono in vena di commenti raffinati…)
Autore: Roberto Villani