Il 28 settembre è stato pubblicato “Infinite Games”, nuovo album dei The Black Queen, trio formato da Greg Puciato, voce della indemoniata band metalcore americana The Dillinger Escape Plan; Steven Alexander Ryan, già collaboratore dei Nine Inch Nails e A Perfect Circle e infine Joshua Eustis reduce dei Telefon Tel Aviv, noto anche con lo pseudonimo Sons of Magdalene e membro del duo Second Woman con Turk Dietrich dei Belong.
Il disco segue a poco più di due anni di distanza l’autoprodotto “Fever Daydream” – pubblicato appunto nel gennaio del 2016 – ed è rilasciato attraverso la neonata label / piattaforma Federal Prisoner dove al trio in oggetto si è aggiunto l’artista Jesse Draxler che frattanto ha curato le copertine di entrambi i dischi rilasciati da questo combo di Los Angeles.
L’ensemble traccia una comoda scia pop fortemente orientata synth wave, dai suoni talvolta corposi e oscuri e senza troppi fronzoli o effetti speciali menzogneri che di fatto ingannerebbero il carattere delle tracce.
Il suono globale in sé non si allontana parecchio da una determinata formula con una omogeneità timbrica e ritmica determinata da percussioni soft-industriali, linee di basso principali e secondarie, tastiere lead o chitarre con la voce che non ti aspetteresti da Puciato; le atmosfere suadenti a questo punto sfumano tra gliambienti vellutati dei soundscapes di derivazione e attitudine dark electronic o dream pop.
Oddio, a essere pragmatici, la regina nera in alcuni casi sembra proprio avere l’intenzione di catapultare di peso l’ascoltatore negli anni ottanata con una miscela new romantic di elettronica e R&B tendente al vecchio e caro techno pop: ‘Spatial Boundaries’ o ‘Lies About You’ non sfigurerebbero in un “Best of” degli Spandau Ballet!
Un suono quindi dalla marcata matrice europea: se però fosse stato concepito da una band del vecchio continente probabilmente “Infinite Games” sarebbe stato più melodico o elettronico, ma in questo caso il sound è asciutto e ridotto all’essenziale, tale da far emergere la sostanza delle tracce e così la band perlustra finalmente il solco di un possibile equilibrio tra le anime dei tre protagonisti che avranno pur dovuto trovare un punto di incontro scavando nei rispettivi background.
Abbiamo approfittato per fare qualche domanda ad una “vecchia conoscenza”, Joshua Eustis che abbiamo tanto apprezzato già dai suoi esordi con i Telefon Tel Aviv.
La musica dei TTA è stata un’ottima colonna sonora di una fase della vita; abbiamo un ricordo indelebile di un concerto di alcuni anni fa a Napoli, proprio marchiato Freak Out Magazine e nel periodo più intenso della “primavera” della musica indipendente di inizio millennio che vide tra i protagonisti questo duo di Chicago formato appunto da Eustis e lo scomparso Charles Cooper ai bei tempi della Hefty Records di John Hughes III. Anche un secondo live si sarebbe dovuto tenere nel marzo del 2009, ma purtroppo fu annullato proprio a causa della tragica e misteriosa fine di Cooper avvenuta il 22 gennaio di quello stesso anno.
Intanto Eustis con i The Black Queen sarà a Milano il giorno 20 ottobre al Legend per promuovere “Infinite Games“.
Autore: Luigi Ferrara
Photo: Jen Whitaker
FO: Partiamo dal principio. Nel 2011 avete deciso di formare i The Black Queen; provenite da backgrounds differenti, come vi siete incontrati? Come è nata la decisione di mettere in piedi il progetto?
JE: Mi sono approcciato con Steve via email quasi dieci anni fa. Stava cercando di addentrarsi nella musica elettronica in generale e mi inviava via e-mail canzoni e idee così da scambiarci suggerimenti e trucchi, quel genere di cose. Greg invece I’ho incontrato nel backstage nel 2011 ad uno show dei The Dillinger Escape Plan e siamo diventati amici immediatamente. Loro due stavano lavorando insieme a della musica e mi hanno chiesto se mi sarebbe piaciuto produrla e questo è in definitiva il modo in cui tutto è cominciato.
FO: Essendo un trio molto eterogeneo, come riuscite a incastrare le vostre personalità artistiche nel progetto The Black Queen?
JE: È tutto davvero molto facile, onestamente. Ci sono certe cose in cui ognuno di noi è forte e generalmente ci atteniamo a queste caratteristiche. Steve ed io non ci preoccupiamo per la voce – perché dovremmo, quando abbiamo Greg? – Allo stesso tempo, Greg non si preoccupa tanto del mixing o della chitarra, perché ha me e Steve che ci prendiamo cura di questi aspetti. Quindi, la cosa si basa sulla fiducia reciproca nei punti di forza, davvero.
FO: La vostra scelta stilistica è fortemente tendente al pop, alla wave e R&B, nei tuoi lavori è facilmente riscontrabile questo mix sonoro, come è stato edificato “Infinite Games”? Com’è il vostro approccio compositivo?
JE: “Infinite Games” è diverso dal disco precedente, soprattutto perché è successo tutto molto velocemente. Greg o Steve hanno un punto di partenza, poi uno di loro o andrà dall’altro o da me, per lavorarci ulteriormente su. Di solito inizia una persona, poi diventiamo due e infine tutti e tre.
FO: ”Fever Daydream” è un album chiaramente autoprodotto; per “Infinite Games” avete messo in piedi la Federal Prison, questo vuol dire che ci saranno ulteriori pubblicazioni future?
JE: Assolutamente, ci puoi contare. Non possiamo dire quante altre volte accadranno cose del genere, ma ci saranno altri dischi, forse anche libri e progetti artistici dal momento che anche Jesse Draxler è coinvolto nella Federal Prisoner.
FO: Come valuti il tuo periodo di collaborazione con i Nine Inch Nails?
JE: Ho imparato MOLTISSIMO in un breve lasso di tempo e penso di essere cresciuto come artista, molto a proprio agio attorno a musicisti così straordinari. Sono tutti di classe mondiale, a mio parere.
FO: Con i The Black Queen torni in Italia a Milano a distanza di un anno dal tuo ultimo live a nome Telefon Tel Aviv; che approccio avete dal vivo, cosa dovrà aspettarsi il pubblico dai vostri concerti?
JE: Senza anticipare troppo, si alterneranno alcune nuove canzoni a vecchie e alcune versioni rivisitate…le canzoni sono talvolta diverse dal vivo rispetto a quelle pubblicate su album, naturalmente.
FO: Ho assistito al tuo concerto a Londra per il quindicesimo anniversario dell’uscita di “Fahrenheit Fair Enough”. Hai proposto un suono completamente diverso rispetto a quello del disco. Pensi che quell’esperienza sonora si sia così conclusa?
JE: Non che sia “finita” di per sé, ma sono passati 17 anni dall’uscita di “Fahrenheit Fair Enough”, i miei gusti, le mie capacità e le tecnologie disponibili sono cambiate molto, così come i miei interessi, quindi penso sia naturale che il suono sia cambiato insieme a tutto ciò.
FO: Qual’è stata la prima sensazione che hai provato nel vedere la ristampa di quel disco dopo quindici anni?
JE: SOLLIEVO.
FO: Ero anche a Napoli nel marzo del 2004, erano i tempi di “Map of What is Effortless”, eravate molto giovani, ricordi qualcosa di quel concerto?
JE: SI. Non potemmo suonare il giorno stabilito a causa di problemi di alimentazione nel teatro. Mi sono anche innamorato di una ragazza lì. È stato un periodo selvaggio per me. Siamo tornati una settimana dopo e abbiamo fatto lo spettacolo correttamente e ricordo di essere stato così grato al pubblico napoletano, rumoroso ed eccitato. È stato davvero magico e Napoli è un posto molto vicino e caro al mio cuore.
FO: Telefon Tel Aviv, Second Woman, The Black Queen, Sons of Magdalene…come riesci dividere la tua identità artistica?
JE: Io lavoro semplicemente con la musica e mentre l’idea si sviluppa, la metto in un accumulo – l’accumulo The Second Woman, l’accumulo Telefon Tel Aviv, The Black Queen – dopo aver lavorato su una canzone per un pò, di solito riesco abbastanza rapidamente a inquadrarla, solo a volte mi siedo e dico:- “in questo momento lavorerò su Second Woman” – la maggior parte delle volte seguo semplicemente l’ispirazione.
* * * ENGLISH VERSION * * *
FO: Let’s start from the beginning. In 2011 you decided to form the band The Black Queen; you came from different backgrounds, how did you meet? How was the decision to set up the project?
JE: I met Steve via email almost ten years ago. He was figuring out electronic music in general, and would email me songs and ideas and we would trade tips and tricks, that sort of thing. Greg I met in 2011 backstage at a Dillinger Escape Plan show, and we became friends immediately. The two of them had been working on music together and asked if I’d like to produce it, and that’s basically how it all started.
FO: Being a very heterogeneous trio, how do you manage to frame your artistic personalities in the Black Queen project?
JE: It’s really very easy, honestly. There are certain things that each of us are strong at, and we generally stick to those things. Steve and I don’t worry about vocals – why would we, when we have Greg? At the same time, Greg doesn’t worry so much about mixing, or guitar, because he has me and Steve to take care of those things. So, the thing is based in trust in each other’s strengths, really.
FO: “Infinite Games” is stylistically oriented towards pop, new wave and R&B. In your previous works you can easily find a mix of these sounds, how the album was built? How is your compositional approach in this ensemble?
JE: Infinite Games was different to make from the last record, mostly because it happened very fast. Either Greg or Steve will have a starting point, and then either one of them will either go to the other person, or to me, to work on it some more. We usually start with one person, then go to two people, and then all three to finish.
FO: “Fever Daydream” is a clearly self-produced album, for “Infinite Games” you have set up the Federal Prison, does this mean that there will be further future publications?
JE: Absolutely, count on it. We cannot say how often things like this will come about, but there will be more records, and possibly books and art projects as well, since Jesse Draxler is also involved with the curation of Federal Prisoner.
FO: How do you rate your period of collaboration with Nine Inch Nails?
JE: I learned A LOT in a very short amount of time, and I think I became a better and more comfortable performer being around such terrific musicians. They are all world class, in my opinion.
FO: With The Black Queen you will return to Italy in Milan a year after your last concerts; what approach do you have live, what should the audience expect from your concerts?
JE: Without giving away too much, expect some new songs, and some old ones, and some alternate versions of those the songs are sometimes different live than they are on the albums, naturally.
FO: I attended your concert in London for the fifteenth anniversary of the release of “Fahrenheit Fair Enough”. You have proposed a completely different sound than the record. Do you think that sound experience has ended so?
JE: Not that it’s ‘ended’ per se, but 17 years have passed since the release of Fahrenheit Fair Enough, and my taste, abilities, and available technologies have changed a lot, as well as my interests, so I think it’s only natural that the sound has changed with it all.
FO: What feelings have you had seeing the reissue of that record after fifteen years?
JE: RELIEF.
FO: I was also in Naples in March 2004. Those were the times of Hefty Records and “Map of What is Effortless”, you were very young, do you remember anything about that concert?
JE: YES. We couldn’t play on the original night of the concert because of power problems in the venue. I also fell in love with a girl there. It was a wild time for me. We came back a week later and did the show properly, and I remember being so grateful to the Neapolitan audience, who were loud and excited. It was really magical and Napoli is a place that is very near and dear to my heart.
FO: Telefon Tel Aviv, Second Woman, The Black Queen, Sons of Magdalene…How do you manage to divide your artistic identity?
JE: I just work on music, and as the idea develops, I put it into a pile – either the second woman pile, or the TTA pile, TBQ – after working on a song for a bit, I usually know pretty quickly where it’s going only sometimes do I actually sit down and say ‘I’m going to work on Second Woman right now’ – most of the time, I just follow simple inspiration.