Che Joe Henry fosse un tipo introverso, alla ricerca della bellezza nascosta, lo avevamo capito quando in casa Ciccone ha chiesto la mano di Melanie (e non di Louise Veronica, la sorella maggiore che prometteva decisamente meglio).
Ironia spicciola a parte, il cantautore americano dall’aria dandy incentra il suo lavoro su una ricerca intimistica, delicata e carezzevole.
“Reverie” è l’ultima fatica discografica che ha visto la luce in tre giorni di session all’interno dello studio nel garage di casa sua. Dodicesimo album per l’Henry già produttore di nomi fin troppo noti del mercato discografico internazionale.
Quattordici i brani raccolti per l’occasione: ballate a stelle e strisce che guardano il cammino fatto finora, mai dimenticando i capolavori ascoltati e vissuti.
Tra i pezzi meglio riusciti c’è di certo l’iniziale “Heaven’s Escape”, ma è solo il principio dell’innamoramento di un disco che spazia dallo swing di “Sticks & Stone” alle chitarre coutry di “Darl Tears”, fino al folk di “Deathbed Version”. Passando per la nostalgia di “Tomorrow Is October”.
Melodie in divenire si susseguono disegnando un unico percorso, magari in riva al fiume durante l’ascolto di “Unspeakable”. Come un viaggio tra la vita e il deserto. Che sia in auto o in barca, attraversando l’oceano. Come la strada di Kerouac ripercorsa da un uomo con la chitarra.
Autore: Micaela De Bernardo