Ragazzini (“pupi”, anzi) coi calzoncini rotti e le ginocchia ossute sbucciate, che sembrano usciti dall’immaginario Pasoliniano. “Popolane” dal sangue caldo e tragedie consumate sul lungo Tevere. Vendette e tradimenti, lamenti di carcerati e dichiarazioni d’amore, Madonne redentrici e cuori doloranti. Sono tutte immagini e situazioni ricorrenti nell’antica tradizione degli stornelli romaneschi, che un manipolo di musicisti appartenenti a tutt’altri territori musicali hanno deciso di “recuperare” e re-interpretare. L’originale idea è venuta al cantautore folk blues Giampaolo Felici e agli ZU, che hanno realizzato questo progetto con l’aiuto di Geoff Farina (chitarra e voce dei recentemente disciolti Karate) e di Luca Venitucci (fisarmonica e fender rhodes) e Valerio Borgianelli (vibrafono, glockenspiel, percussioni). L’esperimento, chiamato “Ardecore” (la scelta del nome è da standing ovation, non trovate?) è diventato un cd, pubblicato da Il Manifesto (ad un prezzo onestissimo: 8 euro), con una raffinatissima confezione digipack, con gli splendidi disegni (pieni di rose, teschi e pugnali…come vuole una certa iconografia di tatuaggi “da carcerato”) di Alessandro ‘Scarful’ Maida. I brani originali, di cui è straordinariamente preservata la profonda tensione drammatica, sono delicatamente ri-contestualizzati in chiave folk-blues-jazz-rock, rispettandone le linee melodiche. Gli stornelli diventano vere e proprie “murder ballads”, e la bella interpretazione vocale di Giampaolo Felici, il sax di Luca T. Mai che ogni tanto si lancia in assoli dilanianti (“Lupo de fiume”), le struggenti pennellate della chitarra di Farina, il lamento della fisarmonica (“L’eco del core”), e i delicati e implacabili tocchi di vibrafono non fanno altro che alimentare il pathos di cui i testi sarebbero già pregni di per sé.
Un disco spiazzante, di assoluta bellezza, in cui si manifesta l’estrema versatilità di musicisti come gli ZU, capaci di mettersi al servizio (per la prima volta?) di canzoni, tenendo a bada il loro furore jazz-punk per esplorare sonorità dai timbri e i toni del tutto diversi, e la capacità di Farina di percepire il mood “blues” degli stornelli.
Gli Ardecore maneggiano con rispetto e consapevolezza il repertorio da cui traggono ispirazione, avendo cura a non incorrere (e non è semplice, in questi casi) in alcuna forma di timore reverenziale, e di non scadere in risultati dal sapore oleografico o banalmente nostalgico.
A questo punto ci chiediamo: a quando una rivistazione noise delle canzoni napoletane del ‘700? E una versione electro-glitch delle pizziche salentine? E un disco hip hop che campioni i canti tradizionali sardi?
Autore: Daniele Lama daniele@freakout-online.com