Quale sia la vanità del vuoto probabilmente resterà un mistero anche dopo aver ascoltato il cd, ma è certo che il nuovo e primo album di questa band partenopea insegue il vuoto soprattutto nelle pause, negli stacchi, nel dosaggio dei tempi degli arpeggi, che permettono all’album di avere sfumature invidiabili anche per band più affermate del circuito nostrano.
Non c’è rumore, né ostentazione nel cuore di questo lavoro, ma si nota sin dal primo ascolto che c’è tanta ricerca. Tanta ricerca, tanto lavoro di rifinitura, tanta pulizia nei suoni, grazie anche all’ottimo lavoro del produttore e fonico Alfonso La Verghetta.
L’anima pop delle melodie del leader Irvin Vairetti, figlio d’arte di quel Lino Vairetti membro e mente degli Osanna, si sente in alcuni pezzi più leggeri e allegri come Riuscirò, gradevolissima track iniziale, candidabile a singolo per il mercato italiano, Casaoeste, Non userò e I miei Passi. Ma la parte densa dell’album è costituita da quei pezzi (L’Odore della pelle, L’unico dubbio, Criminal Soldier, L’uomo) che inseguono colori notturni e sfumature dark e malinconiche. In questo la parte del leone la fanno le chitarre di Pasquale Capobianco e di Vairetti, ben sorretti dalla sessione ritmica, consapevole e puntuale, Di Nello D’Anna e Marco Caligiuri (già The Collettivo).
I momenti più belli dell’album sono quelli in cui i quattro strumenti dialogano su basi di accordi mai banali, e su ritmi di batteria spesso jazzati (come in Eolo o Casaoeste). E colpisce tanta ricchezza di suono pur in assenza pressoché totale di elettronica, per cui il suono degli Ansiria può a rigore dirsi pop-rock puro, senza contaminazioni.
C’è ancora margine di miglioramento, naturalmente, magari con un’attenzione alla metrica (scrivere e mettere in versi in italiano la musica rock non è mai stato facile e sono cadute in qualche “stonatura” anche band illustri come Litfiba o CSI) mentre i testi sono decisamente suggestivi ma forse un po’ troppo ermetici (caratteristica, anche questa, comune a molte band italiane soprattutto dei tempi recenti).
Spiccano su tutti, come momenti migliori dell’album, le intro arpeggiate di chitarra ne Il vuoto e la sua vanità o di L’odore della pelle, l’assolo finale di Non Userò, e L’uomo, dove davvero testo e musica si fondono in una suggestione fortemente coinvolgente ed emotiva, che spazia su domande esistenziali suggerite dalle bellissime liriche.
Ora dagli Ansiria si attende la prova di conferma, augurando loro che la gestazione sia più facile di quella che loro stessi raccontano per questo primo album. Con tanto di guadagnato per l’intero panorama nostrano di musica indipendente del circuito campano.
Autore: Francesco Postiglione